ANTOLOGIA CRITICA

Visual and sound poetry

LE SCRITTURE DI GIOVANNI FONTANA

Il fatto è che la trascrizione segnica di un universo verbale comporta un ulteriore dato che Fontana ha saputo utilizzare perfettamente: si tratta di una variabile, ossia di un adeguamento grafico alle varie presenze della parola come immagine, o dell'immagine come parola/segno. Tale adeguamento grafico segue l'andamento dei significati, naturalmente non soltanto per esaltarli ma anche per contraddirli, e si snoda di pagina in pagina lungo un percorso irto di ostacoli, di tergiversazioni che a volte è facile enucleare dal contesto e a volte invece si stemperano nel mare magno dell'accumulazione linguistica che è poi, in trasparenza, la sconnessa filigrana del testo. Se pensiamo alla pagina come al frammento di un corpus esposto a una dissertazione filologica inesauribile, maniacale, vediamo che il suo esserci in superficie rende vitale il suo esserci in profondità, e che i due stati di esistenza possono confluire tanto nel verbum che nel signum: i frammenti sono nel primo caso elementi costitutivi di una concatenazione di apparenze logiche (il discorso come argomentazione), nel secondo caso invece si costruiscono in uno spazio vuoto, astratto, che è anche mentale. Fontana lavora dentro questo spazio a più dimensioni (non si tratta dunque soltanto dello spazio bidimensionale della carta) proprio in quanto tiene presente l'insoddisfazione dell'orecchio rispetto all'occhio, ovviamente sempre privilegiato nel caso di un testo visuale. Il che non vuol dire che il poema/partitura ha esigenze irrinunciabili, tra le quali non esiterei a collocare una eventuale sonorizzazione, sempre ammesso che tale sonorizzazione fosse in grado di rispettare non soltanto il procedimento di notazione (e cioè l'analisi grafica del materiale linguistico) ma anche la tessitura dei significati, questa volta considerati in sé, quasi indipendenti dal segno. La contraddizione non è affatto casuale, anzi si spiega benissimo ricorrendo di nuovo al concetto di discorso parlato, e di "lettura parlata".
ADRIANO SPATOLA 1977

 

The idea is / someone is listening to a radio drama / and can't see it but hears it / this someone doodles and draws / not what he can't see / -the action let's say-/ but the signs and traces / his mind associates / with the invisible technique / of radio drama / and its effect / so / this book is the visual representation / of what someone was listening to / and by looking at it / someone else will be able / to hear / and thus abtain the same or similar / sounds his mind associates / with this visible technique.
GIULIA NICCOLAI 1977

 

Fontana diventa portatore di uno squilibrio mimico / provando prima col gesto e prima col segno e prima col corpo e poi ancora prima col caos che è al principio e alla fine / che infatti è sempre rimesso all'interpretazione e liquidato come matrice informale di tutte le forme / ma radio/dramma è quest'opera che scava effimere stasi nel mondo di relazioni in onda nelle periferie accidentali di quasi tutti i nostri ricordi.
CARLO ALBERTO SITTA 1977

 

Les moyens dont Fontana se sert pour "canaliser" son improvisation sont dans la plupart des cas des indications verbales, des pseudo-partitions, des coupures mixées dans une fasse continuité. Le passage entre action / réaction, simple / complexe, tension / détente se font progressivement, rarement d'une manière abrupte. La forme est souvent sinusoidale, chaque situation durant jusqu'à son épuisement: mais la situation épuisée sert de réprise et de point d'un nouveau départ. Le Radio/Dramma devient alors une sorte d'esquisse du "texte-programme".
La multiplication systématique de formes linguistiques, bien que peu traditionnelles, évite dans l'œuvre de Fontana la fixation sur l'un des possibles d'une pratique de communication multidimensionnelle[…].
MARIE LOUISE LENTENGRE 1977

 

La scacchiera percorsa e riattraversata da parole, segni, immagini, questo testo  si apre a decifrazioni e a correzioni come a cancellazioni di senso. Mentre sembra dilatarsi sopra uno spazio in movimento entro il quale agiscono impulsi visivi e sonori portati allo scoperto dalla diversità dei materiali usati, il libro descrive la propria scrittura nel momento in cui segno e eco del suono scorrono sulla pagina per uscirne, provvisti di un potere di ri-produzione nell’atto stesso in cui saranno per essere usati. Potere da verificarsi successivamente nella parola detta, nella partitura eseguita, nel rumore provocato, nell’insieme di quei movimenti che sono teatro e vita quotidiana, pensieri e dialoghi, voci e silenzi. Tra le righe allineate, incolonnate, accatastate e gli spazi bianchi, tra il gesto aperto del segno grafico e la perentorietà di quello tipografico, tra l’allusione all’immagine e la dissolvenza sul tentativo di un’interpretazione, la pagina ci circonda con la discontinuità delle sue scritture – dattiloscritto, fumetto, pubblicità, appunto scolastico, rigo musicale, punti di sospensione, corsivo – le quali vengono tutte contemporaneamente aggredite e ciascuna mutilata o prolungata a dismisura nel suo percorso con l’iterazione per essere convogliata in uno spazio diverso, a tentare l’interazione di un (nuovo) ordine con un (nuovo) disordine in schemi interpretabili, ancora, mediante una scrittura
PIA M. PEROTTI 1978

 

L’impronunciabile e illeggibile radio/dramma di Giovanni Fontana è, appunto, un itinerario (individuale e irripetibile) attraverso l'inferno delle interferenze: attraverso il suono compostamente scomposto della metropoli borghese e la sua immagine ordinatamente caotica. Ci si dimentica, talora, che Dante, quando scende sottoterra, viaggia per un mondo che egli stesso si va costruendo sotto i piedi. Che, in altre parole, solo un diavolo può liberarsi dall'inferno (ammesso che sappia appropriarsi di esso: facendone, come è logico, "commedia"). Fontana, in sintonia con i tempi, ne fa radio/dramma da vedere (e anticipa, tra l'altro, nel paradosso, l'auspicato nuovo medioevo: i giorni in cui la definizione saprà ancora prevaricare bellamente la funzione).
Come una "selva oscura" (e in allegra simmetria di rima), la nuova opera si inaugura evocando un "silenzio di sciagura": funebre clausola di tragedia salutare, da cui il dramma moderno inizia il suo cammino ironico.
Ma il "silenzio di sciagura" è un invito a scrivere sul silenzio: è la creazione di un vuoto che sembra vibrare di appelli all'invasione.
L'eroe è morto, la scena è sgombra. L'inferno è in ordine (perché sembra non esistere ancora): tutto disposto ad ospitare il disordine infernale[…].
ROBERTO TESSARI 1979

 

Giovanni Fontana registra, in Radio/Dramma, un monologo beckettiano e nihilista, intersecato da lacerti cartacei, da voci pluristratificate, da rumori, gridi e silenziosi spazi bianchi, da filologie e segni proteiformi, il tutto polverizzato in sillabe, in lettere, in codici che rigettano il proprio senso per offrirsi drammaticamente all'anarchia e alla deformazione, all'eversione permanente e alla sperimentazione, ciò che non esclude il contemplare lo scarno profilo di un ironico, afasico fantasma.
STEFANO LANUZZA 1979

 

Il carattere essenziale di Radio/Dramma era di porsi come registrazione d'un monologo interiore intersecato da voci-rumori esterni concitatamente dialoganti. La voce dell'io poteva il più delle volte essere attenuata, o soffocata del tutto, da tali interventi in una inesauribile gamma timbrica e tonale. L'io si perde, si ritrova nel caotico balbettio che è il tessuto della banalità quotidiana. Era dunque un poema-partitura, con battute visuali, che si ricollegava alla tipografia libera espressiva delle tavole parolibere futuriste: basti pensare a Zang Tumb Tuuum di Marinetti o a Piedigrotta di Cangiullo, nonché al manifesto della Radia per una poesia radiofonica, lanciato da Marinetti e Masnata nel 1933. Non a caso Fontana è uno dei migliori poeti sonori italiani […].
ARRIGO LORA TOTINO 1981

 

Fontana indica le sue prove come “radio-drammi” che sembrano obbedire ad uno stile iterativo, ma in una dimensione spaziale estremamente affascinante; utilizzando variazioni di suono e di velocità, nelle sue pièces egli crea un luogo sonoro fortemente ricco, talvolta ironico, immaginativo, che ci allontana definitivamente dai vecchi luoghi poetici. Della stessa scuola di composizione del fiammingo Paul De Vree, come lui Fontana ci cattura, ma, in più, con una voce superba.
HENRI CHOPIN 1983

 

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Sia in Radio/Dramma che nel recente Le lamie del labirinto, Giovanni Fontana immerge una sorta di monologo interiore in un denso ambiente fono-visuale. La voce dell’io si perde e si ritrova nella labirintica babele dei segni, dramma opprimente dello smarrimento in una selva “culta” che ti ghermisce d’ogni lato con richiami storici e protostorici.
ARRIGO LORA TOTINO 1984

 

Fontana’s work at first brings to mind the gestures of calligrams as a foundation for a geographical survey team to make maps by because of  his use of language trails traversing his pages, arching diagrams, collages, drawings. All with a beautiful handskript.
KARL KEMPTON 1985

 

In Fontana, ad esempio, parola-immagine-suono aspirano a diventare un corpo vivo, i cui movimenti si svolgono in base a un procedimento associativo che tende, tra l’altro, a un ripristino, pur nella sperimentazione più audace, di antiche forme di strumentazione poetica (come è avvenuto recentemente in una performance romana con il recupero del popolare scacciapensieri).
FRANCO CAVALLO 1986

 

Insiste l'autore sul carattere pre-testuale, e quasi pre-occasionale del suo scrivere, e che questo sia partitura di una più intensa orchestrazione a più voci, e magari canovaccio di una qualche Commedia dell'arte che si faccia poesia del corpo stesso del poeta.
Ora a noi sembra che l'opera sia certo ombra e sempre matematica costante di un trasparente disastro della coscienza.
Quel passaggio che nel giardino aurorale di Nietzsche riunisce sotto l'arco del momento il prima e il poi, sembra indubitabilmente segnare con la sua stessa consistenza un luogo dell'essere e magari anche un appuntamento con il possibile.
E appare chiaro che Fontana proprio della consistenza logica dei suoi testi abbia saputo trovare una cifra identificativa altra, facendo della linearità una sua cornice imposta ad un dettato che continuamente travalica i limiti della costruzione di senso, e intendendola come marca riconoscibile di un' "ars dictamini" che nessuno sforzo risparmia per non defrenare sul piano della costruzione evocativa e dell'intarsio linguistico […].
GIULIO LEONI 1986

 

Sirene era veramente stupenda; pensavo che pièces costruite con immagini così semplici avrebbero rivelato metodi  troppo noti e senza sorprese, ma tu hai dimostrato che avevo torto. […]
Ho apprezzato molto la tua esplorazione in tempo reale del “feed-back”.
DICK HIGGINS 1986

 

I progetti poetici di Fontana presentano situazioni poematiche caratterizzate da una pluralità di mezzi e accorgimenti linguistici.
Ogni testo - ha scritto Fontana - pur in sé concluso e definito si costituisce come poesia interrotta, in quanto lascia presagire dimensioni altre di cui richiede la determinazione.
MATTEO D'AMBROSIO 1986

 

Scritture lineari (pre-testi e trascrizioni): poesia progettuale, cioè utopia, quindi poesia indefinitamente "attiva", polidimensionale e sconfinante nella vocalità corporale, continuamente decontestualizzata, sempre pronta a ripetere quel motivo del vedere fondamentale in uno dei più assidui autori di opere verbovisive: è il motivo problematico dell'imparare l'esercizio del vedere, attuato con la trasposizione della visione nella scrittura, con l'uso preponderante delle immagini a effetto metaforico-analitico-descrittivo.
Il testo ne è frammentato in dettagli isolati e fuggevoli, ma utili a far emergere i tratti occasionali del discorso sulla genesi della realtà e gli strumenti d'uso del soggetto.
Figurare e formare: è all'insegna di questa poetica che Fontana opera due trasformazioni o metamorfosi.
STEFANO LANUZZA 1987

 

Non pretesti, ma pre-testi [...] L'autore tiene molto a questa definizione, forse per distogliere l'attenzione dalla solida ossatura dei poemi che presenta, strutture certo adatte al loro ruolo di partiture, ma indubbiamente capaci di reggere qualsiasi tipo di lettura e di confronto nel loro essere stampate sulla pagina.
ADRIANO SPATOLA 1987

 

Scritture lineari è uno di quei libri destinati a costituire un punto fondamentale di riferimento per ogni discorso sulla situazione della poesia in questi anni. L'invenzione della forma e la teorizzazione della funzione e delle ragioni della parola poetica vi si uniscono in modo esemplare.
GIORGIO BARBERI SQUAROTTI 1987

 

I meriti di Giovanni Fontana, creatore multimediale e operatore culturale, non sono forse ancora conosciuti quanto meritano al di fuori della cerchia degli specialisti. La sua attività, in vent'anni ormai, potrebbe dirsi frenetica, se non fosse, in realtà rigorosamente in progress: una ricerca che, su diversi fronti -teatro, poesia, poesia visuale, poesia sonora, audiovisivi, videopoesia, gestualità ...-, non tralascia mai la tensione di una ricerca in profondità, una trivellazione che punti al "centro" del segno poetico, nella accezione più ampia, ma nella qualità più concisa, più sintetica: in un territorio straordi-nariamente prolifico in cui la "puntualità" del senso poetico non prescinde mai dalla "potenzialità" naturale del mezzo […].
GIO FERRI 1987

 

L’uomo delle pulizie di Giovanni Fontana: pregnante prova di un poeta della visualità che perviene alla sua più limpida espressione, in cui sono messe in scena e cronaca ironica le scorie della realtà, facendoci convinti che quel misero e febbrile "uomo delle pulizie" incrociante i nostri occhi distratti è il poeta che va spazzando la polvere di questa nostra sporca storia.
STEFANO LANUZZA 1987

 

Sarebbe come togliere una melodia o un’aria cantabile da una sinfonia la lettura di poesie e poemi visivi contenta del fatto verbale e risolta pregiudizialmente in parole: ne sfuggirebbero agganci, impalcature, enfasi, spezzettamenti, variazioni di corpi e dunque di spazi e di nessi. Ne sfuggirebbe quasi tutto.
Ma è operazione che va affrontata per Radio/dramma (1977), Le lamie del labirinto (1981), L’uomo delle pulizie (1984) di Giovanni Fontana. Va affrontata senza molti ripensamenti, perché il dato verbale non è innocuo in Fontana, ma è essenziale allo sviluppo visivo, proprio come è essenziale una melodia o un’aria cantabile alla sinfonia. Perché il resto è importante, per dire il dato esclusivamente visivo: ma il fatto verbale c’è come presenza primaria: come, in genere, non è per la poesia visuale. Cosicché assistiamo a una ricodificazione di parole su un altro piano, spostato rispetto alla consuetudine dell’uso, come in una prospettiva obliqua generante anamorfosi di significazione. Si sottraggono e riassegnano significati secondo corpi tipografici usati in mescidazione con grafie di minor significazione: i contesti esercitano tirannie comunicative: come, in genere, non è per la poesia verbale e lineare. Il testo, per così dire, pretestuale rispetto all’insieme, ne esce autonomo ma con ombre e macchie che ne raccontano i trascorsi, sicché i versi di Fontana tolti dal contesto visivo, che assolve la funzione di placenta per lettori non soddisfatti dell’archivio anagrafico, si configurano, neanche tanto paradossalmente, come un’apologia dell’esperienza verbale come esperienza estetica, per parafrasare Jauss.
RAFFAELE MANICA 1987

 

Di Giovanni Fontana è necessario dire che è il direttore di una nuova rivista che si chiama "La Taverna di Auerbach" che è senz'altro la migliore rivista italiana di poetiche intermediali. Importante è quindi il suo apporto teorico.
Da ciò deriva nelle sue composizioni un impianto di grande convinzione, direi di sentita serietà, che comporta nella sua poesia una tendenza a produrre una vera e propria visione prospetticamente allargata, capace di inglobare una grande quantità di situazioni, di materiali, di realtà visti nell'ottica di una coscienza poetica delle cose.
Evita di proposito ogni eccesso.
Attento invece agli elementi più idonei a generare attenzione nel senso dell'operazione poetica.
Una lirica pacatezza fa da fondo ad una raffinata scritturala cui propensione è più nella direzione della contemplazione che in quella dell'azione […].
CESARE MILANESE 1988

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Giovanni Fontana è un maestro…è un diabolico… è un maestro… tra l’altro è un lavoratore!…
ADRIANO SPATOLA 1988

 

In particolare Giovanni Fontana, giovandosi della sua professione di architetto, elabora un congegno formale quale sintesi di linguaggi generalmente avvertiti e usati come strumenti reciprocamente non pertinenti e difficilmente omologabili all’interno di una sfera estetica tipizzata secondo parametri consolidati dal tempo e dalla retorica. L’antecedente più remoto di un disegno espressivo che esclude dal suo armamentario semiologico il privilegio della parola risale alla wagneriana Gesamtkunstwerk, all’aspirazione propria di molta parte dell’estetica decadente di giungere ad una fusione delle arti mediante una grandiosa orchestrazione di tutte le valenze espressive. Più recentemente, invece, fermo restando il rinvio alle esperienze primonovecentesche del futurismo e del dadaismo, il lavoro creativo e ideativo di Giovanni Fontana presuppone un rapporto di contiguità con l’esperienza del gruppo che fa capo ad Adriano Spatola e alla sua (si fa per dire, ovviamente) teoria della poesia come arte totale, su una direzione operativa che si è progressivamente evoluta non solo per ragioni di personale tensione euristica, ma anche per la dilatazione dei confronti con affini esperienze d’oltreoceano. Un massimo di vigilanza critica convive, nei testi di Fontana (Radio/Dramma, 1977; Le lamie del labirinto, 1981; L’uomo delle pulizie, 1984), con un massimo di primordialità, sicché tra i geroglifici del fenotesto appare l’arduo contorno del genotesto; è vero, cioè, che la pagina fontaniana si caratterizza per una struttura che richiama più che la figura dell’endiadi quella dell’ossimoro, vivendo ed esibendo una condizione di irresolubile ambiguità che esige ai poli opposti della espressione l’uso di un linguaggio segnico pre-grammaticale e contestualmente la sapiente e ingegnosa manipolazione di materiali istituzionalizzati e normativi, entro una compagine ricca di transcodificazioni, che consentono la teatralizzazione (nella forma della scrittura verbo-visiva) di una zona psichica aperta alle insorgenze dell’inconscio non meno che alle voci di una coscienza assorbita nelle spire di una labirintica e inquieta realtà […]
RAFFAELE PELLECCHIA 1988

 

Fontana, contrariamente ai primi poeti sonori, ha scelto queste tre sorgenti di suono: la sua voce, la struttura del "radio/dramma", il montaggio musicale. A questi elementi, specialmente in Feedback poem, a sostegno di quel grande risuonatore che è la voce (tutto il corpo si articola per essa), egli aggiunge una bocca che diventa caverna per l'elaborazione di effetti larsen, con un buon numero di "pizzicati" destinati a sonorità volatili che diverranno poi concrete, direi quasi palpabili. Vale a dire che professionalmente Fontana accetta tutto ciò che la tecnologia offre al fine di "battere" quei suoni umani sconosciuti prima dell'avvento dell'elettronica.
HENRI CHOPIN 1989

 

Giovanni Fontana, microfono in mano, sta per affrontare il regno delle ombre. Giovanni Fontana, microfono in mano, sta per scontrarsi con l’ignoto. Cerca di risvegliare, di addomesticare, di interrogare certe ultra-voci, che si sospetta siano là, tutt’intorno, a fior di pelle, d’aria, di pareti, a fior di diffusori acustici […]
Giovanni Fontana, microfono in mano, corre da una cassa all’altra, da sinistra a destra, da destra a sinistra, non esitando, per tutto il suo rito, per tutta la sua danza sacrificale, ad esporsi a rischi incontrollabili. Osa infatti interrogare alternativamente quei due altoparlanti, quelle due bocche d’ombra, avvicinandosi, certamente con precauzione, microfono teso, per tentare di conoscere finalmente quel che hanno nel ventre, quel che hanno da dire, da rivelare, da vomitare […]. Ma Fontana infaticabilmente, imperturbabilmente, non esita a ritornare, ritornare e ri-tornare ancora nella fossa dei leoni, nella gabbia, con il suo abito bianco sacrificale o da esorcista, sforzandosi sempre, e sempre di più, di far parlare la sfinge e strapparle il suo segreto. È la lotta dell’angelo con… Chi oserebbe affermare che non ci riuscirà?
Cerchiamo di essere attenti, allora, e non perdiamolo di vista, soprattutto! Abbiamo molto da imparare dal suo combattimento. Tra la voce e l’assenza…
BERNARD HEIDSIECK 1989

 

Ci troviamo di fronte a un esempio di grande e rara, con i tempi che corrono, autonomia linguistica. Ed è questo, credo, il maggior punto di forza che oggi Fontana può vantare al suo attivo […].
FRANCO CAVALLO 1990

 

Algido come un esperimento da laboratorio accuratamente progettato e lungamente ponzato [...] e caldo per l'accendersi gratuito (un'autocombustione, talvolta) del piacere e del gioco; esito di un processo mentale d'astrazione e, però, frutto come fisiologico di un abbandono al corpo e alla materia del linguaggio, rigoroso e ondivago, ordinato e caotico, architettato e babelico, un po' Agilulfo e un po' Gurdulù (per stare al Calvino ariostesco del Cavaliere inesistente), "tourbillon d'hilarité et d'horreur", Tarocco meccanico non conosce sintesi, non autorizza termini e terreni di mediazione.
Non li conosce né li autorizza, pour cause, la sua lingua, che instancabile "biforca le parole": cioè stana nei lemmi i doppi sensi e ripesca le differenze e i contrari, sempre scansando la tentazione di conciliarli [...].
Dai minimi ai massimi sistemi Tarocco meccanico è, dunque, un inflessibile tenutario del polisenso, è un amplificatore, che non vuole saperne di concertati armonici, di voci a contrasto.
Né certo viene a patti quando sia da decidere verso quale genere l'opera, atteso che è indubitabilmente sperimentale, tendenzialmente si diriga.
Verso la poesia sonora (eppure è un romanzo) o verso la prosa narrativa (eppure ha, ben marcati, gli stigmi della poesia sonora)?
In Tarocco meccanico non si coglie nessuna estasi intraverbale, da eretismo narcissico dei significanti e da incielamento metafisico della materia fonica (con una troppo facile, illusoria, pseudoliberatoria uscita dal codice questi sono, a mio parere, i pericoli nient'affatto trascurabili, insiti nella poesia sonora); e, nondimeno, sbalzano in tutta evidenza, da questo testo di Fontana, la potenza disoccultante del suono e il suo ruolo maieutico nella critica dei significati, delle forme, dei miti eletti nella convenzione letteraria.
MARCELLO CARLINO 1990

 

Tarocco meccanico. Mi sembra che sia un libro importante, punto di risoluzione e di convergenza di tutte le interrogazioni rivolte al linguaggio da trent'anni a questa parte.
PAUL ZUMTHOR 1990

 

Col Tarocco Meccanico Giovanni Fontana ci propone un nuovo tipo di lettura, una "lettura" infinita, capace di ripartire ogni volta da zero.
Una lettura radicale, partendo dalle "radici" che predispongono lo stilema a un numero x di varianti. In questo modo "tutta l'intelligenza sensibile" del fruitore parteciperà alla "ricostruzione" fantastica del testo liberando l'inconscio dagli impacci clandestini e dal timore di lapsus o censure accademiche.
Il romanzo che l’autore definisce “sonoro” acquista credibilità proprio da questa definizione. In realtà la “sonorità” consisterebbe nella elasticità dei rimandi e delle riproduzioni verbali.
Un romanzo sonoro è la disponibilità della scrittura a rinunziare all’ingabbiamento semantico a favore d’una libera manipolazione verbale da parte del lettore che così continua “il livello di tensione linguistica” e si costituisce come co-autore. Se ne ricava una libertà che permette ai lettori prossimi di assicurare, secondo Jacobson, un buon orizzonte d’attesa per il libro in questione.
VITO RIVIELLO 1990

 

Il "pre-testo" recupera lo spartito, riga il foglio di spostamenti musicali, le tracce geometriche dividono con l'immaginazione pause, ritmi, semi, intersezioni immaginative e gesti, voci, riflessi, clamori di una reazione che continua senza fine nelle categorie del coinvolgimento poetico (e poematico) immisurabile, forse struggente (e distruggente), mai a favore di liricistici patemi o di effetti esulceranti. L'azione è dunque cinetica, i microcosmi murmuri d'alfabeto, il fantasma rientra sempre nel fanatismo degli scherzi in cui non sono distanti né "memorie innamorate", né ironiche "scritture d'occasione", da intendersi come lessico della latitudine (e in quasi velata verticalità, di senso e di allusivo approdo).
DOMENICO CARA 1990

 

È evidente il riferimento ad una sorta di alchimia del verbo, di continua sollecitazione artificiosa, ossia meccanica, del materiale verbale, che tuttavia ci pare sappia declinare in parte le tentazioni di un'orgogliosa e vacua autonomia della prassi scritturale, a testimonianza di una più matura padronanza e conoscenza del proprio fare, per il quale si pone in campo, con tutta l'intelligenza e il disincanto, si badi bene, a cui obbliga l'ironia, una qualche finalità utilitaria, di compenso edonistico a questo "spender parole".
PIER LUIGI FERRO 1990

 

Nel romanzo "sonoro" di Giovanni Fontana, che è anche un sonoro romanzo, [...] allignano, come in un doppio spartito, la grave pesantezza della storia e l'inumana leggerezza del disegno geometrico, in una paratassi ben orchestrata che decentra in modo perverso l'io narrante, fin quasi a perderlo, in un'orgia consumata di sillabe e di quadri per un'esposizione a venire […].
STEFANO DOCIMO 1990

 

Il vocema diviene nello stesso tempo suono, parola, frase, discorso, inesauribilmente; e lo diventa nella propria continuità ritmica.
E' così che si può, con Giovanni Fontana, assicurare che la poesia non solo è con la voce e nella voce, ma dietro la voce, all'interno del proprio corpo, da dove vengono dominati il canto, i sospiri, i soffi, gli ansiti e tutto ciò che, al di qua e al di là del dire, è segnale dell’inesprimibile, coscienza primordiale dell'esistenza. Giovanni Fontana parla in questo senso di poesia dilatata; Henri Chopin, a proposito delle sue Saintes phonies evoca la dilatazione sonora. Anche se questi autori non attribuiscono alla parola dilatazione un identico senso, il loro legame, l'insieme di tutto ciò che essi rappresentano, si rivela nella referenza spaziale del radicale dilat-, che nota l'allargamento, l'ampli-ficazione fino ai limiti, mal concepibili, di uno spazio che ci ha preceduto, ci circonda, ci permette di esistere e che perdurerà oltre la nostra esistenza.
E' attraverso questi principi che la Poesia Sonora si richiama al corpo, come realtà primigenia e ultima [...].
La voce emana dal corpo totale e ad esso ci riconduce: corpus e spiritus, come scrive ancora Giovanni Fontana, ambiguo fiato, sorta di grido primigenio, sonorità destinata ad estinguersi con l'ultimo respiro, identificata da un gesto del corpo, dal gesto più semplice e più radicale: quello di vivere.
PAUL ZUMTHOR 1990

 

Ho molto amato il Poema Larsen di Giovanni Fontana, che può utilizzare gli effetti larsen in una maniera molto più sofisticata di quanto noi potessimo fare all’epoca.
HENRI CHOPIN 1990

 

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Credo che Fontana abbia voluto, tra l'altro, metterci di fronte all'impossibilità di un romanzo, però contemporaneamente ci abbia voluto dire che è possibile scrivere un romanzo impossibile: sottraendosi all'enunciazione teorica pura e semplice, ci ha presentato un fatto poetico: per questo, più sopra, si era usato l'aggettivo di "stupefacente" […].
RAFFAELE MANICA 1991

 

Giovanni Fontana è, tra tutti gli autori, la punta di diamante di un ricercare a un tempo in più direzioni: immagine, parola, suono, perfor-mance, scrittura.
Predilige il labirinto come condizione morale e poetica dell’essere ma conosce bene il filo che gli consente di entrare e uscire dal labirinto, magari ogni volta con dei libriccini d’avanguardia preziosi, lievi, metaforici.
DARIO MICACCHI 1991

 

L’ambiguità, anzi l'instabilità semantica della pagina è costantemente attivata da un ulteriore procedimento, che consiste nel disarticolare le parole in lemmi dal significato autonomo; questi nuclei di linguaggio, attirati dalle forze magnetiche dell'assonanza e della contiguità sonora, giocano tra loro una partita di richiami e di rimandi che si sovrappongono al discorso principale, lo affiancano, lo mimano, lo sbeffeggiano, con effetti, a tratti, di gran divertimento" […].
EUGENIO LUCREZI 1991

 

Siamo astanti al film della parola ove l'uso linguistico, metalinguistico, plurilinguistico, l'habitat stilistico che osserva gioiosamente la tripartizione e tanto la irride quanto ne gode, aderiscono alla phoné ed entrano nell'andatura musicale del testo. La macchina dello straniamento diventa dello spostamento, presa com'è tra segno, fiato e voce. E non solo si slocano le stringhe chiamate in partitura dalla continuità dei significati e dei significanti, dalla parentela dei campi semantici, dalla torsione del lemma; si spostano pure le unità del farsi della scrittura: accenni di flussi di coscienza, incipit di scrittura automatica, fuochi di incendi verbali, sono dati per essere immediatamente spiazzati.
ALBERTO CAPPI 1991

 

Ma è soltanto […] negli anni a noi più vicini, a seguito delle ridiscussioni avvenute nel fondamentale ventennio ’50-’70, che torna a proporsi una vera e propria, e rinnovata, poetica vampirica.
Giovanni Fontana è in questa sede il più sensibile ricercatore di nuove significanze e di configurazioni ulteriori; autore del già conosciuto “romanzo sonoro” Tarocco meccanico, con Le lamie del labirinto egli ci offre un poema visivo in cui struttura lirica, immagini e disposizione testuale formano un tutt’uno: in tale modo, la sperimentazione poetica di queste pagine non si discosta più di tanto dal linguaggio visionario e labirintico esibito in Tarocco.
La Lamia sta a monte del configurare (quasi una “dea madre”), come creatura archetipica, aperta (quale serpente mitologico esemplare) alle più compiute metamorfosi […]. E Fontana crea addirittura, in apertura, una vera e propria geografia dell’immaginario-lamia, risalendo alle radici delle configurazioni inconsce, grazie a uno schema di coordinate “alchemiche” […].
E il concetto è chiarito più estesamente, laddove l’aggirarsi labirintico trova un suo più adeguato moto a spirale (sarà perché lamia/vampiro uguale Vagina dentata, uguale all’utero primordiale – che in tale sede può essere la Parola generatrice – che a tutto dà vita e tutto in sé riassume; lamia che torna a lamia?) […].
GIUSEPPE TARDIOLA 1991

 

Tarocco Meccanico ha una struttura tramite la quale il messaggio parrebbe collocato in un apparente vuoto semantico. Qui nulla è prevedibile. In questa imprevedibilità, in questo movimento iterativo del "flusso fonetico", anche se tutto sembra retto da un'impalcatura costruita di reticenze ed implicazioni, avviene, quasi per assurdo, la semanticizzazione del testo. Poiché tutto comunica, deve aver ipotizzato l'autore, il solo modo di potere esprimere il nuovo è costruire un testo narrativo attraverso concetti indeterminati focalizzando al massimo il significante, creando "sintassi scollate" travolgenti, tramite il "mazzo di carte che sorprende" e il caso che è progetto [...] La scrittura di Fontana, posta davanti allo specchio della decodifica, fa sberleffi a se stessa. Gioca con la propria assenza e referenza, donando il profilo più esposto ai bordi della comunicazione letteraria. Essa ha un contenuto metallico che avviato verso il fruitore, come magma significante o specie di "universo sonoro", costruito soprattutto a livelli fonico-timbrico e morfosintattico, rivela una incredibile pluralità semantica. Questo "mondo-tarocco" altamente ludico e metalinguistico [...] è un rarissimo "frutto" introdotto nel mondo letterario italiano, sbucciato con "garbo virile" ed estrema coerenza e coraggio dall'autore.
GIACOMO BERGAMINI 1992

 

Recentemente Giovanni Fontana è stato protagonista di una nota trasmissione televisiva italiana, fra le più seguite da un pubblico composito, assai vario. Devo dire che la partecipazione di Fontana mi aveva suscitato qualche perplessità, e aveva suscitato perplessità allo stesso Fontana. Che ci faceva un autore come lui dentro quella trasmissione destinata a far riposare la gente prima di andare a dormire o a suscitare perplessità buone per mettersi in pace l'anima per la notte?
Invece mi sbagliavo, e si sbagliava Fontana: meno male che è così, meno male che non sappiamo sempre dove la poesia va a colpire e dove ricadono le sue parole.
Il successo di quella serata fu rilevante: banalmente, diciamo così che molta gente quella sera scoprì che la poesia può farsi nei modi più diversi [...]; dico questo perché si può dare così il senso di una poesia pronta a trasmettersi fuori del campo degli appassionati o del circolo dei poeti, solo che le sia data la possibilità di trasmettersi [...].
E l'evento che ogni sera si produce è davvero sempre unico e irripetibile, eppure riconoscibile da una grana particolare, da una buona dose di fiducia nel destino assegnato alla poesia.
Questa grana, mi sia consentito, appartiene non solo all'artista, ma anche all'uomo che Fontana è. Una volta queste cose dovevo pur dirgliele.
RAFFAELE MANICA 1993

 

Contro una certa apparenza possono prestarsi ad una analisi della geometria dei frattali le stesse galassie narrative di Giovanni Fontana. In una delle opere qui esposte [Un censimento della poesia visiva italiana, a cura di Ugo Carrega, Mercato del Sale, Milano] immagini cronachistiche di rotocalco (bambino, mano, sesso) si esprimono in stretta connessione con la scrittura in una disarticolata (eppure unitaria nell'insieme) calligrafia.
Si legge anche con chiarezza, dipanando la matassa: “labile e ferma provvisoria a un tempo la macchina poetica”.
Come è noto la geometria dei frattali si esprime in rappresentazioni grafiche composte di linee spezzate sempre più divise, dall'andamento apparentemente irregolare; strut-ture matematiche che evidenziano comportamenti variabili in spazi sempre più piccoli. Adattando queste analisi alle galassie "storiche" di Fontana si può discendere nello spazio, anche in questo caso per sintesi diversificate, dai macrotempi storici ai microtempi emozionali.
GIO FERRI 1994

 

Un uso più persuasivo, partito dalle stesse esperienze ma maturato con largo anticipo sul Gruppo ’93 non soltanto per questioni di anagrafe, è quello della poesia di Giovanni Fontana.
Non che le presenze dialettali siano molte, ma le poche sono utili per mettere a fuoco una diversa funzionalità del dialetto anche nel campo della sperimentazione.
In un poemetto largamente basato sull’uso onomatopeico e derivante il titolo dalle Rane di Aristofane, Koax, Fontana ha riproposto procedimenti tipici della sperimentazione ma diversamente orientandoli (ricreazione di significati a partire da segmentazioni apparentemente arbitrarie: ma significati, appunto, non meri significanti), intrecciando varie lingue sul dorso di un italiano tendente a risolversi in pura musica.
RAFFAELE MANICA 1994

 

Sinestesia e multimedialità sono le coordinate, teoriche, linguistiche e tecniche, dentro le quali si muove la ricerca di Giovanni Fontana, in cui si registra la tensione ad un'arte "totale", fulminea, tra scrittura verbo-visiva e notazione musicale: il criterio è la "durata" del testo musicale registrata sulla pagina-rotolo secondo una grammatica ed una sintassi interne che producono "addensamenti" e "dilatazioni" di segni e di tempi.
ANNA COCHETTI 1995

 

Quella del lettore sarà una danza dello sguardo; allora, solo allora si potrà ascoltare la musica di Giovanni Fontana. Ogni pagina è una partitura [...].
JULIEN BLAINE 1996

 

Giovanni Fontana, delle cui "poesie sonore" mi sono altre volte occupato, ha fatto spesso incursioni in quel territorio, appunto, della "poesia visiva" con la competenza e l'eleganza dell'architetto e del grafico che manipola e combina scritture e immagini. Questi suoi Paysages sono la prova di una tensione o di una convergenza fra codici eterogenei, che lui stesso designa, con una varia e sintomatica nomenclatura, come "sensi confusi", qui proprio nel senso di fusi insieme, "frontiera", "incroci", "confini", "inganni" [...].
EUGENIO MICCINI 1996

 

Ecco parole che respirano e lavorano nel loro atelier verbale; Mallarmé per primo ha fatto sì che i caratteri riprendessero a respirare, che le parole si rimettessero al lavoro dopo essere state costrette per secoli nella gogna del poema a stampa.
E’ così che bisogna prima di tutto intendere la poesia visuale e la poesia sonora, lasciando che il corpo linguistico respiri di nuovo.
Nel suo spazio.In questi nuovi poemi di Giovanni Fontana la spazializzazione, la respirazione della poesia sonora sono là rese attraverso la poesia visuale.
Qui il gesto è continuamente presente, nelle figure e nelle parole, tutte trasportate sulla pagina da una specie di soffio.
Che conquista di libertà!
PIERRE GARNIER 1996

 

Giovanni Fontana si è mosso sul terreno programmaticamente vago di una “progettualità” estesa: si è dedicato alla sperimentazione verbo-visuale e sonora,  ma anche alla poesia lineare, al teatro, alla musica, all’architettura, sforzandosi di intendere ciascuna di queste esperienze come un segmento aperto di un ramificato progetto complessivo. Ha scritto Adriano Spatola a proposito del suo lavoro verbo-visuale: “Se pensiamo alla pagina come al frammento di un corpus esposto a una dissertazione filologica inesauribile, , maniacale, vediamo che il suo esserci in superficie rende vitale il suo esserci in prpfondità, e che i due stati di esistenza possono confluire tanto nel verbum che nel signum: i frammenti sono nel primo caso elementi costitutivi di una concatenazione di apparenze logiche (il discorso come argomentazione), nel secondo caso invece si autocostruiscono in uno spazio vuoto, astratto, che è anche mentale.
GIORGIO ZANCHETTI 1996

 

Un fluire di suoni-immagini nelle pagine di Giovanni Fontana, in cui entrambi i piani, dove lo scorrere si compie, prendono senso l’uno dall’altro. Le parole, d’acceso espressionismo, costruiscono le emozioni visive; queste fissano i caratteri di scorie, di rifiuti da eliminare per gli oggetti che il discorso magmatico raccoglie e illustra.
GIORGIO PATRIZI 1997



Un ricordo e un riconoscimento vanno concessi all’accanita, talentosa vena sperimentale di Patrizia Vicinelli […], al povero Corrado Costa, sino a Stefano Docimo, Giorgio Weiss e Giovanni Fontana, tutti autori brillantemente performativi, per cui la voce diventava o diventa, com’è il caso del più giovane Fontana, un vero e proprio strumento, un suono in sé.
PLINIO PERILLI 1997

 

Fontana percorre i caprioleggiamenti efferati della frase smembrandone l'ossatura a forza di rimandi, di paronomasie, di allitterazioni, di echi improbabili, in una digrignante e forsennata festa ecolalica.
MARIO LUNETTA 1998

 

Las performances de la poesìa sonora, aquì representadas por diàlogos a varias voces, plantean claramente la funciòn que tiene el texto en perspectiva principalmente en el teatro breve. Lo teaoriza con gran precisiòn Giovanni Fontana llegando a halbar de “texto integrado”, o de “ultratexto transversal” que està “basado en una nueva lengua … que annunciarà un tejido dinàmico complejo (iper hyphos) que superarà a la pàgina” y no tendrà miedo a la palabra. Se llega a decir incluso que el pre-texto es “lugara transfigurar”, que es “terreno de actividad a re-perimetrar … con el cuerpo … con los objectos … con los procedimientos tecnològicos … con la relaciòn con el entorno”.
Los textos de Giovanni Fontana y Lamberto Pignotti son intercomunicables, en el sentido de que se pueden usar con diferentes soluciones, desmontar y volver a montar segùn las necesidades del momento, en relaciòn con su uso, y de que se pueden interpretar de manera muy elàstica.
Los mismos personajes son intercambiables, tanto que generalmente estàn camuflados y no se ponen de manifiesto; es un teatro de voces en las que se salva e incluso se exalta la palabra.
De esta poesìa-teatro nace el poema larsen o efecto escénico feed-back, que deriva del incesto entre micròfonos y altavoces, los cuales obedecen a las leyes del cuerpo, que emite señales “convirtiéndose en ojo, oìdo, boca al mismo tiempo”, como ha escrito Giovanni Fontana, dando asì una medida precisa del teatro que se hace total exaltando la palabra. “Aquì el placer de la propria gestualidad se hace tejido significante. Medir los movimientos, componerlos y descomponerlos, enrédandose, extendiéndose, recogiéndose en la oscuridad, permite transformar la energìa muscular en vibraciones acùsticas. Y el gesto las modifica, las plasma.
Las ondas se suman, rebotan, se entrecruzan, se esquivan. Ondas como espectro de palabra : esqueletos del sentido, carnes de lo sensual”. Al frente de este teatro està la invenciòn de una escritura que es fuente de gran experimentalismo y materialidad en una concreciòn de elementos fonéticos explotados hasta lo infinito.
Se puede hablar de plurilinguismo, de recuperaciòn de dialectos, de intraverbalismo, de glosolalia; todo interpretado con extrema libertad a través de los sentidos.
CLAUDIO RENDINA 1998

 

Chorus è un romanzo di voci - le voci di un coro senza canone imperativo -, un romanzo sonoro che produce suono di suo e che attende che altri gli soffino dentro suono, o phonè, eseguendolo; è un romanzo che si fa a forza di zapping navigando da un mondo all’altro, un romanzo di scrittura lineare, e tuttavia un romanzo non lineare, perché sonoro e perché segnato da una pletora di zigzag e di va e vieni, da percorsi marginali e obliqui, da partenze e repentini ritorni, senza che un centro sia rinvenibile e sia scritto ne varietur; è un romanzo in movimento, danzante a battuta libera, fuori da coreografie preordinate, un romanzo il cui copione è il viaggio nel cyberspazio, nel labirinto di una sequela di videogame. E’ un romanzo che si pone, dunque, nel solco di una ricerca che Giovanni Fontana conduce da anni con assoluta coerenza, protagonista tra i maggiori di sperimentazioni sinestetiche […].
MARCELLO CARLINO 2000

Con questo “romanzo” di Giovanni Fontana, ben noto artista, scrittore e poeta sonoro, abbiamo un esempio di scrittura polivalente e sinestesica che va oltre il postmoderno situandosi in una zona non ancora ben visitata, che potrebbe essere chiamata cyber scrittura. Abbiamo ormai superato il grado zero della scrittura in senso barthesiano, e, per fortuna, anche il grado xerox dell’arte come indica Baudrillard, per frequentare questo che è uno spazio multimediale all’interno del libro, con un giusto e necessario débordement in un CD ove Fontana dà esempio di come il suo romanzo possa agevolmente uscire dai confini ristretti ma non più rigorosi della pagina, prendendo risvolti sonori e divenendo uno spartito, assumendo altre metafore, producendo altre sensazioni […]. Fontana […] appartiene alla schiera dei novatori, caratterialmente e di proposito e tutto il suo lavoro lo dimostra […]
Il gioco (il “romanzo” è diviso in settanta brevi capitoli o giochi, games), l’uso dell’inglese, la rapidità del periodare, la scioltezza dei segni e dei segnali, gli enjambements lessicali e i trascinamenti alfabetici, il linguaggio a volte alto, con pagine di vera poesia, a volte indifferentemente basso, da commedia musicale o da canzonetta […], la sonorità, è il caso di dirlo, del fraseggio che richiama la vocalità e quindi la scena, tutto contribuisce a fare di questo testo, romanzo, poema, narrazione in cui non avviene nulla di quanto ci si aspetti, tra i primi “romanzi” oggi possibili per chi abbia l’ansia e la vocazione della ricerca […]. È quanto deve, dovrebbe, fare ogni artista d’oggi, muoversi a trecentosessanta gradi sul terreno della creatività, interagendo con i vari codici, senza steccati e preclusioni, spaziando in diversi campi per restituirci questa nostra realtà incerta e ondivaga, senza più grandi ideali, eppure fermamente convinta della necessità della denuncia e della rappresentazione.
PAOLO GUZZI 2001

 

Giovanni Fontana, operatore attento all’uso del macchinario di incisione (per la distorsione e la sovrapposizione delle “parti”), trova la sua chiave all’incrocio tra il taglio minimo dell’intervento sulla sillabazione (la parola ridotta a pezzi) e il respiro testuale della misura lunga che lo porta a cimentarsi con il “romanzo sonoro”. La fuoriuscita della poesia dal proprio splendido isolamento vira, per questo autore, in direzione del teatro: e si rende decisivo il climax, ovvero il crescere e, inversamente, il decrescere dell’intensità. Che è anche un andare e venire dello “stato d’animo”: la “patematica” delle voci, quindi, tra il bisbigliante frusciare e l’emergere del timbro deciso e finanche dell’urlo, costituisce una dialettica dai continui slittamenti di livello. Quanto all’esperienza visiva, in Fontana la musicalità è presente anche qui nel motivo grafico delle righe dello spartito, che viene però sottoposto a tutta una serie di intromissioni, piuttosto dissacranti a dire il vero; per un verso le linee diritte sono incurvate e deformate e contorte a piacere, per l’altro vi si aggiungono frammenti di carte (con numeri o lettere), che hanno tutta l’aria dei brandelli strappati. Intersezioni di piani, dunque, che declinano in dissonanza l’armonia promessa dall’ordine musicale; ritagli appiccicati, macchie di provenienza allotria — elementi discordi di una estetica disorganica, che stanno come allusione del caos del mondo frantumato in cui viviamo […].
FRANCESCO MUZZIOLI 2001

 

Ha scritto, negli anni trenta del passato secolo, un direttore di banca: “[…]La forma è il movimento stesso della vita che intus alit e che sola rappresenta e modella in un’apparenza comu-nicativa il suo respiro fuggevole. Ove essa venga a mancare, non residua che contenuto, cioè un’astrazione, cioè a ben vedere nulla”.
Di tale vuoto ha orrore Giovanni Fontana, gran rimestatore di forme, esperiente di lungo corso di una poesia corporale e movimentata dalla matrice schiettamente sperimentale, di quelle che pretendono, tutte le volte che si danno, di ricominciare il proprio discorso dall’inizio; nei versi che qui possiamo leggere tenta – come avrebbe detto un conte assai caro al direttore di banca – le corde del sensibile, anzi si misura con tutti, uno dopo l’altro, gli apparecchi e gli apparati della percezione: e dunque con il buio e le luci dei guardi e dei traguardi, con gli sfioramenti e gl’infioramenti del tatto, con gli sniffi e gli arricci del naso, con le fluenze e le disfluenze dell’armonia musicale, senza dimenticare i suggerimenti, le leccatine, gli scorci di labbra semichiuse che della gamma inebriata del rimanente senso ci mostrano, se pure in fretta e di sbircio, gli assaggi gustosi. Fontana, s’intende, non è Calvino.
Non gli interessa estendere il foglio del racconto fino all’esaurimento ultimo delle tramature esperienziali.
Piuttosto, all’interno di quelle trame si sposta mostrandone le soluzioni di continuo, i vuoti opachi che all’improvviso si aprono, e di risalto i baluginii, le germinazioni, gli scoppi di senso che per contrasto ne risultano […].
EUGENIO LUCREZI 2001

 

Giovanni Fontana, architetto, è un nomade nella selva dei linguaggi.
Ama gli sconfinamenti e le incursioni, le contaminazioni a partire da matrici poetiche "fono-visuali".
Lavora da oltre trent'anni con l'intenzione di stringere in un nodo le arti: la poesia, il romanzo, la musica, il teatro.
La poesia deve abbandonare la "galassia di Gutemberg", la configurazione della pagina e, anzitutto, la linearità della scrittura.
Deve avventurarsi, contaminandosi, oltre l'immunità protettiva del suo codice.
Così, la poesia, ricondotta alla sua radice, poiesis, è, piuttosto, avverte Fontana, "fare", "strutturare", ma anche "agire".
Il testo poetico, radicalmente, diviene "testo integrato", "ipertesto multipoietico", "ultratesto trasversale": parole, termini, nozioni che indicano come, appunto, il suo lavoro poetico, abbandonata la "galassia di Gutemberg", si apra all'agire.
Dell'agire la performance è anche per lui la destinazione finale.
ANGELO TRIMARCO 2002

 

Il gioco delle voci: […] l’ascolto si fa musicale, senza musica, e l’accumulo di tanti aggettivi non è solo eccellente e colto esercizio sperimentale, ma diventa sostanza rigorosa di senso e di sensi-controsensi che accompagnano il fluire “armonioso” delle parole. Ma al di là delle parole, è il ritmo che mi prende: con una “tonalità” di fondo che tiene il tutto in equilibrio, ma non impedisce certe aperture, certe fughe, certe amplificazioni, certi alti e bassi, certi scatti e scarti che mi riportano alla memoria un po’ Carmelo Bene, un po’ le stupende improvvisazioni dei migliori jazzisti e mi invogliano ad entrare dentro la voce e l’innovativa “materia musicale” […]. La tua perfezione tecnica mi spaventa: anche perché è sì tecnica, ma al servizio della poesia e di un rigoroso progetto, strutturato senza un’imperfezione.
LUIGI BIANCO 2002

 

Poliartista di fama internazionale, Giovanni Fontana ci dà con Chorus, romanzo per voci a battuta libera (Manni Editore), un’opera che per via dell’osmosi fluidosonora di molte loquenze nominalmente non etichettate, quindi deprivate di un titolare riconoscibile, rende – in modi apparentemente mimetici, ma in realtà crudelmente critici – la odierna sconsiderata poltiglia del mondo e della parola come logos portatore e produttore di senso. […].
Il “coro” fontaniano esprime in realtà solo il caos, la sua anima e la sua ragione sono alla fine fissate su una dissonanza permanente.
Di qui, ovviamente, la polverizzazione di un qualsiasi riconoscibile plot in selva sonora, in labirinto nel cyberspazio, come attraverso un seguito folle di videogames.
L’impresa di Fontana è notevolissima, e tutta in controtendenza, nell’attuale piatto paesaggio letterario il cui carattere più pesante sembra essere un mix di corrività e di superficialità falso-drammatica. […].
MARIO LUNETTA 2002

 

Giovanni è la raffinatezza personificata. Una raffinatezza minimalista che lascia incantati. Incredibile poeta fonetico e visuale, Fontana non dimentica mai la sua duplice personalità ed è così che ci offre una serie di partiture che hanno tutte le qualità della visualità e ci danno una voglia matta di intenderne la sonorità. Si può chiedere di più?
SERGIO CENA 2002

 

Dell’inevitabile “superamento” avanguardistico di alcuni paradigmi estetici futuristi rende conto il poliartista Gianni Fontana) con la performance audiovisuale dedicata alla interpretazione polifonica della Piedigrotta di Francesco Cangiullo – lo “spartito tipografico” interagirà visivamente con il corpovoce del performer – il cui testo teorico Elektronpoiesis / Il pre-testo come progetto poetico chiarisce l’avvento della poesia multidimensionale e pluridirezionale, multivalente e pluripotenziale, policentrica e multilaterale, poliritmica e multisonante, avvento favorito dalle odierne tecnologie che consentono «di evidenziare i suoni impercettibili del corpo, di amplificare il flatus più recondito e, addirittura, di generare nuovi universi vocali attraverso la vastissima gamma degli effetti dovuti all’utilizzazione del microprocessore o attraverso l’ampio quadro delle tecniche in uso: dalle sovrapposizioni ai montaggi, dalle accelerazioni alle variazioni timbriche e di scala, fino al totale sconvolgimento dei diagrammi acustici iniziali, attraverso manipolazioni di frequenze e ampiezze.
Si è passati, quindi, dall’ingenua onomatopea marinettiana alla voce sintetizzata, che apre al linguaggio ampi orizzonti acustici, lontanissimi da qualsiasi arcaico effetto mimetico.
Si può parlare, invece, di vera e propria maschera elettrofonica, dietro la quale il suono viene articolato come uno degli aspetti fondamentali del linguaggio».
ANTONIO GASBARRINI 2003

 

Giovanni Fontana con “Risonanze” (Catania, Carte d’arte mostre), pure apparentemente in continuità con gli esiti di una ricerca sperimentale di fusione tra segno verbale, iconico e visuale cominciata in poesia da Mallarmé e scandagliata dalle grandi avanguardie storiche, compie un’operazione volta a ribaltare i fondamenti epistemologici stessi dell’opera d’arte, considerata finora come oggetto finito e predefinito, che staccandosi dalle mani dell’autore vive di luce propria e intreccia molteplici legami con il lettore, a tal punto che neanche l’autore stesso possa più parlarne perché sarebbe ripetere il già detto, spiegare ciò che è già concluso, “perfectum” e che in ultima analisi forse non gli appartiene più. L’opera di Fontana invece perde volutamente l’autonomia che le derivava dall’essere “altro” ritornando all’identità di voce e pensiero-creazione, tornando, con un grande recupero di oralità a non potere più fare a meno della presenza fisica dell’autore-esecutore. […] Dunque le lunghe carte arrotolate a mo’ di kakemono, partiture a volte complesse e aggrovigliate, altre volte semplici, in attesa di essere lette e trasformate in qualcosa, musica, video, performance teatrale, o soltanto pura vocalità al limite del canto, si pongono all’occhio dell’osservatore come mistero da investigare dinamicamente, intessuto di suggestioni tipografiche ed evocative, numeri, note, vocali, pause correlate da molteplici rapporti. Le continue germinazioni sinestetiche e metaforiche risultano bilanciate da un ordine nascosto e sempre passibile di integrazioni, in una parola inesauribile: macrocodici da decifrare srotolandoli come papiri o “partiture” scarne ed essenziali, i cui particolari vengono spesso dilatati attraverso l’uso di mezzi tecnologici ed informatici per renderne la centralità del segno. […] La polisemia attribuita al segno che è pre-testo, secondo una definizione dello stesso Fontana, per aprire l’opera ad altre dimensioni da ri-progettare, finisce per superare di gran lunga la valenza espressiva e concettuale della poesia visiva, volta a contrastare la società consumistica, per realizzare l’utopia dell’opera d’arte totale.
SILVIA FREILES 2003

La voce in movimento. Un volume davvero “ponderoso” ed esaustivo!
GILLO DORFLES 2003

 

Lo sguardo di Fontana assume la posizione dall’interno. Affondando la mano nel Novecento poetico (artistico – letterario – musicale) ed indagando e rapportando l’evoluzione che questo adottò in parallelo alla diffusione dei primi apparati tecnologici dell’immediato secondo dopoguerra – magnetofono, stereofonia – sino alle potenzialità dell’odierno digitale, il suo ruolo di “addetto ai lavori” (poliartista, poeta della voce e del corpo oltre che finissimo intellettuale) aggiunge al testo quella vitalità che riesce solo da una postazione mai distante. Prende così forma il concetto di una “seconda oralità” ormai ineluttabilmente assunta; necessitaria di un adeguato e preciso percorso di attraversamento e storicizzazione. Viaggio che schiude al lettore un mondo, quello che la poesia attraversa per infrangere il silenzio della scrittura […].
VANIA GRANATA 2003

 

Bravo! Your sound poetry is extraordinary.
GERHARD RÜHM  2003

 

Artista pluridisciplinare, architetto, performer di notorietà internazionale, Giovanni Fontana è organizzatore di eventi, attore, regista, artista, poeta visivo, scrittore di romanzi e poeta.
La derivazione futurista è piuttosto evidente nel suo lavoro, si pensi a quei “Teatrini in due battute” che ricordano il tardo futurismo di un Achille Campanile e ai numerosi omaggi di poesia sonora che egli fa a Marinetti, a Cangiullo, a Hugo Ball.
Esperto di tecnologia multimediale, le sue azioni si distinguono anche per l’uso accurato dei mezzi che oggi ci offre la telematica.
Un senso profondo del teatro lo pone tra i migliori performer non solo per le idee ma anche per le realizzazioni dei suoi interventi, come regista e come artista che si presenta come se stesso con un’accuratezza che, non priva di eleganza, si applica specialmente alla voce, di cui conosce ed esercita le minime sfumature, pur senza cedere alla facile esaltazione di sé e al gigionismo tipico di certi attori. In realtà Fontana applica pienamente il concetto del verbo- visivo sulla scena, per cui un testo vive di molte modalità interagenti, spalmandosi sulla scena come linguaggio e non come personaggio […].
Il suo è teatro colto, le sue “azioni” sono complesse ed articolate, ci sono precisi e forti riferimenti culturali. I suoi testi scritti sono, come egli stesso sostiene, dei pre-testi che costituiscono un “progetto poietico” da realizzare mediante la lettura sonora, una musica interna, quindi uno spartito[…].
Ma il migliore Fontana, a mio avviso, è lì dove più liberamente il suo “cantato” si distende, e la sua inclinazione per il sonoro e la scena si realizzano sul piano della reale invenzione. Si veda, si ascolti, si legga ad alta voce, per gustarlo di più, il suo Vocali, atto unico (1987) […], che discende da quegli utensili del linguaggio, semplici e complessi insieme, che il visionario Rimbaud immaginava colorati, e che Fontana recupera nella loro articolata sonorità […].
PAOLO GUZZI 2004

 

Oggi la poesia comincia a farsi e a concepirsi sempre più vicino alla bocca. […] Fontana, che è tra i più stimati e validi operatori del settore, ha compiuto l’opera altamente lodevole di raccogliere e costruire un vero e proprio “atlante” della poesia sonora. Un suo lungo saggio ripercorre la storia di questo “genere nel genere”, dalle prime avanguardie futuriste fino ai giorni nostri, e ne traccia i percorsi plurimi, non solo italiani, ma internazionali, fino ai minimi addentellati. […]
Se le due direzioni in cui si muove l’arte in genere sono la “percezione” e la “riflessione”, ossia – per intenderci – da una parte l’attenzione al rinnovamento della visuale che genera sorpresa facendoci guardare il mondo in modo inconsueto; dall’altra parte l’invito a scrutare a fondo le concrezioni culturali consolidate che si annidano nelle parole e nei segni, in modo da superare il potere ipnotico dei comportamenti scontati e imposti; ora, la poesia sonora sembra, certo, più attiva nella prima componente, in quanto libera addirittura l’aspetto fonico dalla sua dipendenza dalla comunicazione codificata, sicché ci costringe ad accorgerci della materia di cui sono fatti i segni verbali che adoperiamo senza pensarci.
Tuttavia, anche il secondo aspetto si sta di più in più sviluppando. Sebbene, in alcuni casi, le nuove tecnologie diffondano il loro fascino seducente, a farsi quasi sostituti onirici della realtà, per forza di cose, però, il ricorso alle gamme della voce e la presenza fisica dell’operatore, mettono al centro dell’operazione il corpo. «Perché la poesia – afferma Fontana – passa per il corpo intero, corpo che si pone come nodo di centinaia di migliaia di canali sensuali in entrata e in uscita. L’intelligenza attiva è corpo; il gesto poetico è corpo; il corpo è ritmo e senza ritmo non c’è linguaggio». E il nodo della corporeità, della gestualità verbale e del ritmo è oggi determinante nell’ambito della poesia ancora intenzionata a sprigionare una modernità radicale (concetto che, a mio parere, contiene in sé quello stesso di avanguardia).
La corporeità, la sua gestione e insubordinazione è anche un nodo politico: e l’antagonismo, così poco ospitato nelle forme della politica organizzata, trova ricetto in quelle forme disordinate e “senza fini di lucro” che sono gli eventi poetici attuali.
FRANCESCO MUZZIOLI 2004

 

La mossa vincente di Fontana è il passaggio nel suo libro dalla storia alla documentazione. Bibliografia, antologia di testi ineludibili – una gioia per gli occhi le ottanta pagine, un libro a sé, dedicate a Testi, pre-testi e partiture. Immagini della voce e altre scritture – e un CD di 27 tracks, dal liquimofono di Lora Totino al saxsoprano di Vittorio Curci da cui scaturisce la voce perduta dei trovatori provenzali (o Ezra), da Oplà di Tomaso Binga (ch'è una donna) al poema elettroacustico di Giuliano Zosi.
La conclusione tocca a Spatola e a Corrado Costa: "Retro, lo volete capire testoni che siete retro retro". Quanti cari morti fra loro.
Ma questo libro davvero indispensabile a musicisti e poeti è un Tempio, un Luna-Park e alla fine esso l'Arte Totale che dicono cercata, ma trovata.
MARZIO PIERI 2004

 

Giovanni Fontana, attore e studioso di questi fenomeni, ai quali ha dedicato diversi saggi anche di carattere internazionale, inquadra questo suo testo in quel settore delle esperienze che vanno sotto il nome di “poesia sonora” soprattutto mirate alla produzione di performances caratterizzate da operazioni multicodice o mixed-media nelle quali la voce svolge un ruolo centrale.
Nei primi anni di quel prolifico decennio si parlava di ‘poesia totale’ intendendo anche dilatare la pratica espressiva dalle fonazioni alle scritture, alle figurazioni, alle gestualità, insomma creando zone  di confine ai margini del teatro, della musica, della danza e di ogni altra  istituzionale convenzione linguistica...
Ma lascio la parola a Giovanni la cui ormai consolidata  competenza mi esime da ogni altra  considerazione. Proprio per questo ho voluto che nella collana da me diretta e che credo abbia ormai ampiamente indagato le grandi vicissitudini della poesia del Novecento, a cui la collana si ispira, ci fosse anche la sua voce a garanzia di rigore critico, storico e soprattutto con la partecipazione appassionata di un protagonista di quegli eventi.
EUGENIO MICCINI 2004

 

Da anni, il modus più peculiare del lavoro in poesia di Giovanni Fontana è la fuoriuscita della parola da se stessa, certo con modalità multidirezionali, anche nei casi in cui il “rispetto” per gli assetti consolidati del lessico e della sintassi si presenti in forme più certe e per così dire “diplomatiche”; ma specialmente volgendosi a due sbocchi: quello del visuale e quello della phonè. […]
Ecco allora che ciò che connota la presenza attiva di un autore siffatto nel panorama italiano e internazionale è un massimo di apertura nei confronti di tutte le sperimentazioni e al tempo stesso un massimo di scelta. […].
Fisica come poche altre oggi, la poesia “poliartistica” di Fontana riafferma da un côté di impavido sperimentalismo moderno il principio leonardesco secondo il quale “Il moto è causa d’ogni vita”, per cui, incessantemente, “L’omo e li animali sono proprio transito e condotto di cibo, sepoltura di animali, albergo de’ morti, guaina di corruzione, facendo a sé vita dell’altrui morte”. Ecco quindi che nelle sue scritture e nelle sue azioni performative, il poeta tratta le parole e i suoni in modi assolutamente materici e, si direbbe, senza esitazione materialistici. […].
Il “guardiano delle parole è assente”, sussurra Fontana: e ciò permette alle sue pulsioni dada-surrealiste di esprimersi con tutta la (pur precaria) libertà concessa allo scriba, oggi. L’allegria sarcastica, il riso irrefrenabile di questo libro non vanno mai disgiunti da una consapevolezza che genera desolazione, ira, rivolta: l’intelligenza del senso e dell’insensatezza regola poi le mosse strategiche fondamentali, che sono, dentro la luce dell’invenzione, quelle non formattabili della critica e del diniego: qualcosa, insomma, che pare come minimo lecito chiedere – ai giorni nostri dominati dall’imbecillità connivente – a quella pratica che ancora porta con qualche decenza il nome di poesia.
MARIO LUNETTA  2004

 

È un testo (lo chiamo perciò semplicemente così: saggio, ripeto, è troppo poco!), questo sulla Voce in movimento, che non solo è prezioso strumento di riferimento oltre che di piacere di lettura, ascolto e visualità, ma è anche (in funzione storica e … come dire?… promozionale) una pietra miliare che chiude un’epoca (dal Simbolismo, al Futurismo alle Neoavanguardie), per aprire una, non poco problematica visione, sul nuovo Universo del Ciberspazio […].
GIO FERRI 2004

 

Un libro necessario, perché finalmente illumina il campo intermediale in una misura che sinora non avevo visto in alcuna altra pubblicazione […]
Chiunque dovrà accostarsi a questo campo dovrà passare per quest’opera, dovrà consultarla, considerarne il peso […].
GIULIANO ZOSI  2004

 

Giovanni Fontana è autore notevolissimo anche di testi “in forma di teatro” più prossimi all’impianto e alla struttura del teatro di sperimentazione, e occorre dire che i suoi lavori sintetizzino, realizzando una calibratissima coesistenza (si pensi a Vocali o a Il libro dei labirinti), i concetti della poesia sonora e la riproducibilità problematica del teatro.
Il suo amore per i linguaggi e per le lingue si denota in tutta la sua opera sinora pubblicata e anche in quella che circola sotto forma di copioni realizzati in sedi anche internazionali dove, come sostiene Fontana stesso “la parola intende darsi come immagine o come suono o fa leva sui loro rapporti, anche coinvolgendo il gesto e lo spazio per la costruzione del senso. La parola è dunque intermediata, per un altro concetto di teatro, prodotto da un testo che si pone come partitura verbo-visiva e/o sonora” […].
PAOLO GUZZI 2004

 

Parterndo dalle avanguardie del primo Novecento, Fontana implica criticamente e documentariamente una fitta serie di opere, movimenti, materiali e autori italiani e stranieri riferibili a simili categorie interdisciplinari e “inter-disciplinate”, arrivando alle più recenti esperienze, dando concretamente vita ad un’opera che pur assommando e correlando poetiche tra le più variegate riesce ad offrirne non pochi denominatori comuni e una globale e riconoscibile identità, disegnando una mappa attendibile a cui da ora in poi sarà sconsiderato prescindere.
Strumento di documentazione e punto di riferimento “La voce in movimento” implica e alimenta altre voci e altri movimenti. Giocando anzi sulle parole, ma neanche tanto, si potrebbe dire che essa implica e alimenta voci altre e movimenti altri, declinandoli potenzialmente al futuro.
LAMBERTO PIGNOTTI  2004

 

Giovanni Fontana è uno dei massimi esperti italiani di poesia sonora. Impegnato da trent’anni nel campo dei linguaggi multicodice, ha studiato le contaminazioni tra le arti a partire da matrici poetiche “fono-visuali”, per approdare alla dimensione performativa, in cui s’inscrivono i suoi “sound poems”.
Negli ultimi vent’anni ha proposto performances ed installazioni in centinaia di festivals di nuova poesia e di arti elettroniche. Fontana ha da poco pubblicato un imprescindibile manuale che ripercorre le vicende della poesia sonora in Italia.
CHIARA CRETELLA  2004

 

Partiamo da una constatazione: la scrittura lineare dell’ultima fatica letteraria di Gianni Fontana Chorus, romanzo per voci a battuta libera, tutto è meno che scrittura o romanzo intesi nel senso tradizionale.
La fluidità orale delle singole parole e la loro concatenazione in frasi (spesso reiterate con marginali variazioni), messe in bocca a personaggi senza volto, intercambiabili, ma con una voglia matta di dire la loro sulla dirompente realtà digitale-virtuale ripercorsa nei labirintici settanta games giocati con una parossistica partecipazione dell’autore, presuppone la sonorità di una voce che è in procinto di essere azzittita per sempre.
Il crescente cicaleccio della chiacchiera autistica delle chat od il logorroico vomito di una impotente quanto perversa verbosità di un Potere tenacemente aggrappato alla manipolazione massmediatica (televisiva in particolare) della realtà, stanno relegando in un angolino buio la plurimilleneria regalità di una parola ch’era tutt’uno con la sua voce, la voce del corpo, esibita adesso in tutte le sue gamme cromatico-gestuali e spazio-temporali nella performance di Gianni Fontana Il gioco delle voci all’Angelus Novus. […] Un dipingere ed un contestuale scolpire il suono, quindi, realizzato con l’umile strumento della “voce naturale”, mai sopraffatta dalle virtuosistiche, pirotecniche esibizioni della “voce artificiale” la cui sonorità “numeralizzabile” con le infinite combinazioni di 0 (zero) ed 1, non è finalizzata ad emulare la non-clonabile sfumatura analogica di un sussulto emotivo, ma a mettere a nudo, con il serrato confronto di onde sonore analogiche e digitali, la bellezza arcaica di una voce ch’è ancora capace di dialogare con un vendicativo, quanto purificatore, silenzio. Sacrale, come quello tracciato in diagonale nella scritta-voce dorata a rilievo scorrente dalla bocca dell’Angelo al volto della Madonna dell’Annunciazione di Simone Martini agli Uffizi e nell’analoga iconografia di Ambrogio Lorenzetti alla Pinacoteca di Siena […]. Perché, forse non è inutile ribadirlo, alla voce umana (suono) non è consentito andare oltre l’atmosfera terrestre, mentre la luce (dell’arte e della poesia) può ancora girovagare, da un’eternità all’altra, tra i vuoti ed i pieni di galassie creative in divenire: e Gianni Fontana insegna.
ANTONIO GASBARRINI 2004

 

In una sua capillare e fascinosa ricerca su La voce in movimento, Giovanni Fontana, abile architetto, ma oltretutto poeta sonoro e studioso sinesteta tra i più rigorosi e dotati, censisce il lungo, intrecciato percorso di quest’avventura: si parte naturalmente dall’Immaginazione senza fili di Marinetti & compagni […] in una fiumana inarrestabile e interminabile di esperienze e proposte, contaminazioni, credie e anche fisime, formule e filosofemi; o, per l’esattezza: optofonie, pittura acustica e trame fonetiche, lingua transmentale, verbopoiesi, visioni simultanee, poesia lettrista, fonetismo informale, ultratesto trasversale, legami interattivi, partitura figurale, sonorità visive, ascolti colorati, pittografia, spazio sonoro, zeroglifici, dimensioni diacroniche, optofonetica, text-sound, politesto in risonanza …
«Negli anni Sessanta, le implicazioni teoriche dei concetti di intermedium, intercodice, interlinguaggio – ribadisce Fontana, che è oltretutto un grande performer – moltiplicheranno i percorsi di ricerca, sia relativamente alle tecniche che alle poetiche. Le attività artistiche sfumano l’una nell’altra e si concentrano in zone-limite che favoriscono nuove tipologie linguistiche ed espressive».
Dall’idea di “categoria” si passa insomma a quella di “continuità”: in una fedeltà ininterrotta alle tradizioni consolidate e poliedriche di tutta la moderna neoavanguardia.
PLINIO PERILLI 2004

Je pense à toi comme un poème vivant.
SERGE PEY 2005

 

Questo libro di Giovanni Fontana rappresenta un’opera davvero unica nel suo genere la cui consultazione, compulsione e lettura costituiscono un atto assolutamente irrinunciabile per chiunque voglia conoscere la storia della vicenda ancora oggi attualissima nel campo delle sperimentazioni artistiche di frontiera capaci di inventare linguaggi poetici, oltre ogni forma codificata possibile (ovvero letteraria) di poesia. La storia d’una così straordinaria evenienza creativa è la storia della Poesia Sonora, ricostruita da uno dei suoi massimi protagonisti contemporanei – Giovanni Fontana – attraverso la puntuale ricognizione di esperienze riconducibili a singole personalità di poeti, di artisti e vicissitudini di movimenti che da Mallarmé e dal futurismo in poi, fino ad oggi, hanno vissuto l’avventura di intraprendere un viaggio che ha portato la poesia fuori dalla pagina scritta riportandola verso quella oralità, antecedente il significare stesso dei segni linguistici, in quanto prodursi originario della parola inscritta già dentro al medesimo spirare im/materiale della voce.
MARIANNA MONTARULI & BENIAMINO VIZZINI 2005

 

Dal 2003 a oggi sono usciti in Italia tre importanti studi sulla poesia sonora, una trilogia esauriente sia sotto il profilo della profondità dell’approccio critico, che di quello della documentazione storica e dell’ampiezza dei riferimenti bibliografici, dovuta a Giovanni Fontana, poliartista, poeta della voce e del corpo, uno dei maggiori studiosi internazionali in questo ambito di ricerca artistica. […] Uno snodo teorico interessante, che emerge affrontando le commistioni tra suono e gesto, fra vocalità e azione performativa, è quello che conduce/induce Fontana a servirsi del concetto di poesia pre-testuale. «La poesia» afferma Fontana «pur nella sua stesura completa e definitiva, può essere considerata come una poesia interrotta, come un pre-testo da utilizzare per aprire un varco verso altre dimensioni» […].
PAOLO ALBANI 2005

 

A lui dobbiamo l’individuazione e la ricostruzione di quel genere di poesia che negli ultimi cento anni possiamo definire come voce in movimento, il concetto di voce come corpo sonoro, il testo poetico come pre-testo e partitura. Dobbiamo alla sua poesia l’eccezionale occasione per dimenticare la separazione tra voce, corpo e testo.
MARIA TERESA CIAMMARUCONI 2005

 

Va ricordato che l’alchimista era chiamato anche poeta , “poietes” con riferimento a quel “poiein”, produrre, nel senso di portare in essere, alla luce dell’opera, che concerne l’opus poetico o alchemico come due aspetti complementari della medesima esperienza, “operando una sintesi di opposti che determina una realtà altra”. A ricordarcelo è un grande alchimista del Verbo, operatore della Poesia che esperimenta le vie di un viaggio di ritorno verso l’origine, prima del testo, vocalità sonora e sonorità vocali; a ricordarcelo è Giovanni Fontana con il suo libro “La voce in movimento”.
Giovanni Fontana vi ridisegna la mappa di un territorio vastissimo, mobilissimo e labirintico, ricco di mille piani e luoghi differenti tutti da esplorare, ognuno dei quali costituisce un universo intero di cui si compone questo territorio dove il poeta è anche “attore della sua poesia e regista del proprio spettacolo poetico”.
Libro, dunque, che ci onoriamo di segnalare per la sua qualità di momento alto in cui si riepiloga tanta parte d’una storia affatto incompiuta, ancor oggi ben viva e in divenire, apertissima al futuro; la storia, avviata dalle Avanguardie, di un’utopia di libertà che appartiene alle alchimie della sperimentazione creativa della Poesia Totale.
BENIAMINO VIZZINI 2005

 

Poesia. Non solo frammenti linguistico-creativi in cui vige una struttura, ma anche inserti tecnici: la ‘contaminatio’ specifica senza delimitarlo il sottile diaframma tra le varie discipline artistiche (testi di Fontana sono stati utilizzati da vari compositori fra i quali Roman Vlad). La ricerca del lettore è sul senso: lo si deve districare dal prodigioso reticolo fonico-verbale, a volte in funzione visiva. Dei frammenti più ‘intellegibili’ va segnalato il breve ‘34 [feed back]’ la cui inventiva si ricollega a fattori estetici, e il ‘16 [per percussioni]’ che prefigura grafie musicali di neo-avanguardia.
LUCIANO NANNI 2005

 

Strano il destino della lingua italiana, nel suo evolversi durante la seconda metà del ‘900 non è riuscita a secernere un canone che si sia imposto per autorevolezza, sopratutto in poesia, ed allo stesso tempo è sembrata mal sopportare sia i ritorni al passato sia le fughe in avanti. Questo a me pare porti ad una non accettazione del senso drammatico né di quello tragico tanto nei tentativi di versificazione in metro e rima che in quelli derivanti dalle scompaginazioni del futurismo, ed un loro conseguente confino nell’area dell’ironia, e spesso non della migliore. Potrebbe sorgere il sospetto che siano stati i tempi, con lo svilupparsi delle vicende loro legate, a non permettere, o non ammettere altro linguaggio se non quello dell’ironia (o addirittura solo della comicità, ma non voglio avvalorare quest’ipotesi), proiettando sugli altri linguaggi l'ombra scura di una retorica, percepita nel senso deteriore che a questo termine ha saputo imporre il fascismo. Quello che spicca in questa raccolta, a mio parere, è proprio l’ironia come scelta di fondo, e quindi non destinata a caratterizzare l'oggetto dal punto di vista esteriore. Un’ironia all’apparenza giocosa, leggiera, ma in realtà pesante e profonda. Leggerezza, estrema leggerezza, viene usata nel codice attraverso il quale viene rappresentato il testo ma se, individuato tale codice, esso viene messo in pratica nella lettura ci si avvede della corpulenza del risultato. La tossicità, che risulterebbe palese alla vista quanto all’olfatto, viene mascherata con una gelatina di fragola che ne permette l’esposizione in pubblico senza correre troppi rischi.
In Lolita (p. 19), fra le piccole confidenze, la puntigliosa idiozia, le false evidenze, e le ridicole sentenze, già di per sé ironizzanti (e si noti come idiozia, nel susseguirsi battente delle rime in ‘enze, crei aspettativa nei confronti del termine ironia, anche grazie allo sviluppo del testo a boomerang), s’inseriscono, o meglio s’attorcigliano a cantilene antiche (un’oca un’uchina un’uchèta: scomparsa la baia del Re) a completare l’opera avvilendone il tema. Così in quel suo riprendere da capo, lentamente, quello che avrebbe dovuto essere il dramma del povero scrittore ci appare come la tragicommedia di un uomo dabbene.Tra le dannazioni ventrali e le laude suburbane, la volontà sfibrata e le scintille ventricolari, si insinua la battuta pseudodialettale. La ripresa finale ha quindi un sapore ben diverso da quello che ci aveva indotto all’inizio la reminescenza del romanzo o del film.
Questo gioco mi pare ancor più evidente in [dark lady].
Fra i: t’amula – mula – accula, t’ammalia – s’addomasica – t’ammanta – s’abbozzola (si noti il salvifico “sinestesia rotonda delle fluttuazioni” nonché il salvatico “alito gonfio di quella rosa negra”; p. 22), la parte fra parentesi quadre, che costituisce lo schizzo, il ritratto della lady, vola assottigliandosi fino alla spoglia, per quanto poco mesta, divisa d’ordinanza delle pornostar: scarpe e tanga, fino al solo tanga nell’ombra che rimane e chiude.
In molti frammenti mi pare di sentire la mancanza della musica, o forse è solo la difficoltà (la mia) di individuare un metro e quindi un ritmo, poiché questo accade anche col frammento per voce sola (p. 31).
Non accade invece con Schioccando le dita (p. 79) che mi pare un buon viatico dalla voce pronunciata al ritmo scandito
FRANCESCO MANDRINO 2006

 

In Icarus di Giovanni Fontana l’assetto poematico (l’opera del 2002 si presenta infatti come un poema visuale) prescrive una meccanica combinatoria e un gioco d’assemblaggio, che i numeri che distinguono ciascun riquadro, per un verso, e i setti e i cubi pronti ad essere montati al centro della tavola, per un altro, sottolineano con particolare evidenza segnaletica.
Il richiamo che proviene dall’impalcatura nella tessera di sinistra numerata con un 1 (un richiamo di consentaneità strutturale con i cubi in costruzione) e il marchio «POIESIS» soprascritto assicurano, intanto, che il “fare” (poetico, creativo) è elettivamente combinatorio, basato su un recupero e una rifunzionalizzazione organica e motivata di elementi. E certificano inoltre che l’arte non è senza progetto (architetture e lettere e numeri e linee – intere o tratteggiate – a ciò alludono chiaramente), non è senza programma o disegno dedaleo.
Quanto possa essere rifunzionalizzato nella «poiesis» cui ci si accinge è suggerito – in una distinta come categoriale – dalle tracce iconografiche disseminate, da frammenti di scrittura variamente elaborata (vergata a mano, stampata in più colori, impressa artigianalmente con un timbro che riprende un marchio collaudato di rivista e di lavoro letterario), da righe di spartito con segni musicali riconoscibili qua e là. Il poema deve pensarsi plurilinguistico, plurisemiotico; questo poema visuale interseca, riaccosta le arti che si suole praticare divise.
E non tralascia adoperandone magari in controcanto, i segni che urgono sulla nostra contemporaneità: è il residuo di un annullo postale o è il pezzo di un codice a barre quello del riquadro che contiene un 8?
Quale valore abbia il progetto, invece, è indicato dalla consecutività alterata delle tessere e dalla nominazione di Icaro nella tessera numerata dal 2: ogni Dedalo ha un Icaro, ogni autore ha un lettore che in riferimento al progetto agisce di suo, e rivede, e riscrive, e riallinea, e introduce l’eccezione, e devia, e compie un’esperienza di volo che appartiene unicamente a lui. Icarus di Giovanni Fontana qui declina la sinestesia sulle forme del polisenso (per esse i salti, gli intervalli, la costruzione avviata e non ancora conclusa, i cubi in procinto di essere montati e colti in un fermo di immagine prima che l’incastro si perfezioni), le sole che possono fare appello al lettore per un intervento compiuto e responsabile nella parte di coprotagonista.
Icarus è poema visuale, perciò, di pronunciata tendenza metapoetica; come, per altre sue spiccate caratteristiche, si mostra visibile invisibile, opera del 1983 di Lamberto Pignotti.
MARCELLO CARLINO 2006

 

Due presenze significative e prorompenti nella loro diversità hanno trasformato l’osservazione dietro la teca di vetro in concreta esperienza multisensoriale, offrendo attraverso le loro performance un’energia rinnovata alla lettura complessiva del pianeta libro d’artista; due figure che nella loro carriera hanno lavorato spesso con la voce, con la componente fisica oltre che con quella verbo-visiva: Mirella Bentivoglio e Giovanni Fontana.
La prima ha strutturato l’intervento in momenti differenziati […] l’altro ha operato coniugando all’interno di un unico “testo” (Il libro dei labirinti) una gran varietà di elementi, dall’oggetto libro – con tutti i suoi reali e metaforici fili/legacci – al suo ribaltamento proiettivo sul muro amezzo video, temperando con maestria l’apporto vocale e quello verbale, la dimensione gestuale e quella cromatica, il rumore audio/visivo e la stasi psicofisica, la costruzione geometrica e la sua negazione, con un controllo rigoroso della multimedialità assunta come specifico linguistico.
DANIELA BIGI 2006

 

PETITIO PRINCIPII
Necessario eziandio coerente massacratore di sensus communis, G. Fontana zampilla alta retorica, energia poliglottica di socialissimo dotto, cultore di humanitas; procede nell’Oltre col massimo rigore operativo e ideologico, a forza di furore plurilingue destabilizzante, anche di vocalità dissolutoria dei significati (de-sensati & in-sensati).
Certo l’ermeneuta paludato potrebbe notare che tutti gli sperimentalisti sprofondano nella resipiscenza e che, prima guastatori, di poi contriti, rimenano a testa china al Tempio del Poetichese; on the contrary G. Fontana, nonostante la pluriennale militanza da poliartista performativo, non ne vuol sapere di rientrare a dormire nel letto della Tradizione.
Nemmeno in codest’ultimo poema Frammenti d’ombre e penombre, nel quale misura coram populo la validità della sua cantata civile, rifiutando la commendevole autocontemplazione dei propri e altrui sentimenti (di cui sono inzeppate & inzaffate intere biblioteche da fazzoletto): attraverso una personale declinazione preverbale, melodico-ritmica, il Nostro trova un territorio comune rispetto ai suoi contemporanei, il meno transitorio e contingente possibile.
La perdita dell’elemento musicale come costituente della performance poetica, consumatasi nel passaggio dai trovieri provenzali agli altoborghesi siciliani del XIII secolo, viene recuperata musicalizzando la voce, a sua volta sdoppiata in segmentazioni foniche e lacerti di significati, per interrogare la residua capacità del linguaggio di rintracciare il senso delle cose.
Nei perenni festa stultorum della contemporaneità (venerazione delle gerarchie, valutazione esclusiva del corporeo cosmetico, rifiuto di ogni scatologia che non sia il prossimo week end) G. Fontana peregrina con insopportabili disagi: sembra indicarci che come individui siamo inchiodati male, scoppiamo di benessere, sazi fino alla saturazione, sordi alla profondità del pensiero, incapaci di sopravvivere al di là del Barnum tecnologico con il quale ci gingilliamo […].

UMBRATICAE LITTERAE
Frammenti d’ombre e penombre si definisce come mezzo per manifestare le complesse stratificazioni interiori, come intermediario nella circolazione dei concetti residui per chi intende accostarsi ai vari aspetti della realtà, vagliare delle scelte, decidere di sé: in una seria prospettiva ermeneutica l’oggetto-mondo da interpretare rimanda sempre a un’origine nascosta, a un’ombra indecifrabile, che non può manifestarsi mai pienamente, pur disseminandosi nella voce umana.
Frammenti d’ombre e penombre pone di fronte a una partitura composita (visiva, sonora, parolibera, espressionistica) che sperimenta la potenza delle parole per toccare con la loro fisicità una vivente verità storica […].
G. Fontana materializza il linguaggio, ne riconosce la costitutiva finitezza, il suo radicarsi nella storia, ne annota le penombre ma anche gli spazi di luce destinati a compiersi positivamente: respinge l’idea che l’esperienza sia un tragico fallimento da subire passivamente, per questo mette in scena una battagliera ragione poetante che nei lacerti di frasi, negli scarti fonici, nei marginalia, in generale, ricerca lo spirito del tempo, ciò che propriamente determina le identità singole e collettive […]. Se la realtà rimane opaca più del dovuto, lo si deve all’opera estenuante di conservazione e museificazione dell’utilitarismo borghese, il quale senza repulsione alcuna accumula carcasse artistiche, letterarie, poetiche per mummificarle così da ammannire al pubblico gli stessi temi e sapori fossilizzati […]. Non è in gioco la relatività e deperibilità di ogni opera d’arte (assunto protonovecentesco dada), piuttosto la sostituzione della vitalità dell’azione poetica alla conservazione mercantile dei valori destoricizzati.
In questo senso Frammenti d’ombre e penombre è artigianato fattivo, la cui novità non è da ravvisare nell’aspetto tecnico-formale, piuttosto nella necessità e autenticità del gesto scrittorio, costantemente proiettato a sorprendere la realtà nel suo trasalimento originario.
G. Fontana lavora con la materia bruta, ancora calda dei suoni, ne esplora i recessi, le riserve vitali, per liberarne lo spirito oscuro, l’elemento primitivo, ossia il fattore che giustifica l’esistenza di comunità di individui […].

IN MEDIAS RES
Frammenti d’ombre e penombre è un libro difficile da conquistare, concepito com’è per l’energia del fare, non per seminascosti plagi letterari o cataloghi sentimentali translitterati dal passato:
Il lettore scende nel magma vivo pantarmonico di G. Fontana, convinto di dover ascoltare tutto, di captare e rivivere emozioni, e non spiegare, tanto meno figurare, secondo l’ansia semplificazionista à la page.
Altro è il compito sventurato del critico, condannato a grattare sinopie in cerca di percorsi per una lettura più consapevole: necesse est varcare i luoghi profondi e liberatori dell’inconscio, ricondursi allo sguardo interiore e ai rovesciamenti esteriori sociali, politici, antropologici.
Per l’occhio interno dell’esegeta Frammenti d’ombre e penombre presenta due stratificazioni: formale intratestuale, contenutistica extratestuale.
Senza inseguire fatui aloni metafisici l’Auctor sbaraglia l’indifferenza imperante collocando le sue smentite testuali su tre livelli: iconico (le invenzioni disposte pagina dopo pagina come un polittico d’inchiostro, al modo in cui Pasolini dipinse le sue Poesie in forma di rosa), semiotico (l’ordine dello spirito non è l’ordine meccanico (Villa), ma l’unità addizionata e diminuita all’infinito dei segni tracciati sul mondo: “step clod clog cob step clump”, p. 13), semantico (il gesto scrittorio generato sempre nell’hic et nunc, mosso dalla necessità irresistibile dell’autenticità esistenziale attraverso le parole: “diavolo che panorama di ferraglie”, p. 27).
La poesia-evento di G. Fontana sfugge al concetto di prodotto anche nei contenuti articolati pur’essi su una triade di livelli: erotico (primo atto per eccellenza, atto creazionale, iniziale e originale avverso alla serialità del mondo meccanico […], mitico (nella ripresa gratuita e assurda della mitografia greco-azteca, da Zeus a Quezalcoatl, si disgregano le grammatiche arbitrarie della postmodernità […], politico (qui si dispiega la vocazione antitetica-antagonista di G. Fontana, deciso a scrivere senza arrendersi […].

FOLLINA CARMINA
Sulla stultifera navis, sulla nave dei folli, si sale con il viatico del racconto LXXXV del Novellino e degli Annali del cancelliere Oberto, così con la medesima lucidissima dissennatezza si accetta di percorrere le rotte umbratili di G. Fontana, le sue gioiose lallazioni, le sue disperate invettive contro l’ottusità del potere.
La differenza con la follia dell’età classica (Foucault) è nella scomparsa della differenza tra persecutori (sani di mente) e perseguitati, sbeffeggiati (folli): si è tutti folli, si balbetta, si pronunciano parole a caso, ci si riempie la bocca di chiacchiere solo per orrore del vuoto.
G. Fontana è un poeta tenace, segue una sua logica costruttiva, mentre sembra dissolvere significati e significanti; non scrive libri canonici, assembla specchi ustori per riflettere l’assurdità di questi nostri malvagissimi, banalissimi tempi.
DONATO DI STASI 2006
 

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Nei testi di Giovanni Fontana è importante l’esecuzione della voce con l’ausilio della strumentazione tecnica, che si può apprezzare a pieno soltanto nella registrazione su disco. Ma anche nella versione "lineare" (su libro) si può notare una particolare attenzione per il ritmo, per il valore sonoro delle parole (che lo ricollega alla linea del gioco verbale e del non-sense), tuttavia non disgiunta dai grandi temi antropologici.
ENDRE SZKÀROSI 2006

 

Giovanni Fontana conosce bene il soggetto [poesia sonora e intermedia] perché è un emerito professionista già da numerosi anni. Ed è anche uno storico analista della poesia sonora, molto ben sviluppata in Italia.
RICHARD MARTEL 2007

 

Giovanni Fontana è uno dei massimi esperti italiani di poesia sonora. Impegnato da trent’anni nel campo dei linguaggi multicodice, ha studiato e praticato a lungo le contaminazioni poetiche “fono-visuali”, per approdare alla dimensione della performance, in cui s’inscrivono i suoi “sound poems”. I testi poetici indediti qui presentati fanno parte di un lavoro in via di completamento intitolato Il corpo denso, e si segnalano per l’intensa e vibrante definizione iconica, per la laboriosa esecuzione sonora che è anche esecuzione del corpo, il suo smembrato devastamento inscenato in punta di versi, coreografato dalla danza macabra di una punteggiatura scalza e rarefatta, imprevista, in cui parentesi e lettere si scompongono in una partitura interiore coinvolgente e tamburellante. Anche la lingua cede al mescolamento di registri alti e bassi, in uno sciabordio di fondo in cui vibra l’eco dell’oralità.
CHIARA CRETELLA 2007

 

Fra le opere dell’ultimo decennio compare in mostra anche Il libro dei labirinti di Giovanni Fontana che dà il titolo alla sua performance. Va tenuto presente che i libri e le tavole grafiche di questo artista, oltre a possedere un autonomo statuto di opera, nascono soprattutto come spartiti per azioni multimediali. Fontana, che si definisce poliartista, ha un ricco bagaglio di esperienze in diversi settori. Riesce così a dribblare con disinvoltura fra arti visive, architettura, teatro, musica, letteratura operando una fertile contaminazione dei diversi generi, sempre però assegnando alla voce una funzione portante. Infatti, come lui stesso afferma, “il testo non ha mai giocato partita più grande con l’immagine, con il suono e la voce come in questi anni” contraddistinti da una “nuova oralità”. I suoi poemi elettroacustici, eseguiti sugli spartiti delle “scritture intermediali”, sono stati proposti in Europa, nelle Americhe e in paesi dell’estremo oriente.
Opere come Il libro dei labirinti sono “pre-testi”, proprio nei due significati del termine, in quanto spunti o punti di partenza, ma anche matrici che forniscono struttura agli “ipertesti” o testi a più livelli,  creati dalla sperimentazione diretta del libro, che viene sfogliato, letto, attivato mettendo in scena gli oggetti, strumenti, plichi che cela dentro di sé in un intrico di fili. Nonostante l’apparente casualità, sono fili-guida che ci conducono lungo i meandri del labirinto in un percorso ricognitivo. Nella performance siciliana, su un grande schermo posto alle spalle dell’artista veniva proiettata, in verticale, l’azione ripresa da una telecamera nascosta. Registrava i riti, un po’ negromantici e un po’ avveniristici di un direttore d’orchestra, “poeta e architetto” (come dice il titolo in copertina) che rivela i segreti di una scatola magica, tra rinascimentale Wunderkammer e attualissimo laboratorio della tecnoscienza. L’artista si appropria trasversalmente, nel tempo e nello spazio, di ogni pratica, utilizza ogni tecnica “senza rinunciare a ricondurre all’ambito creativo il suo stesso corpo” (gesto e voce).
FRANCA ZOCCOLI 2007

 

Giovanni Fontana, che si definisce poliartista preoccupato dal rapporto tra la performance e la poesia e dalle combinazioni sonore multiple del corpo in movimento, esegue le sue poesie visuali, vive le sue partiture, crea i suoi video-poemi nel senso della Flash-Opéra spinto dalla trasversalità che interessa poesia, musica, canto lirico, vidéo, azione mimica… Decisamente l’intermediale rifiuta di privilegiare un codice, opera rapporti tra le arti bistrattando la consuetudine verbale affinché essa possa recuperare una forza significante reattiva. Così, rifiuta un linguaggio che non è quello della comunicazione corrente e torna al Poïen, al diverso dire. Così in strofe successive è Coppi, in breve forma di haiku è Nuvolari, in lanci di parole e citazioni emblematiche è Macchine Spirituali e pertanto dice il mito, lo fa voce, è con-dentro-attraverso la voce e le sue variazioni, amplificazioni e mormorii, voce strumentale, operativa e operatoria.
La voce arriva con e al di là del significato; si fa significante e si modula, sospirata, alitata, mormorata, in frammenti bisbigliati o amplificati, scanditi o distorti, in sibili, in carezze, in colpi. La voce porta l’inespresso e ne assedia lo spazio.
SIMONE DOMPEYRE 2007

 

Una raccolta poetica di Giovanni Fontana è un libro da leggere con tutti i sensi desti, poiché chiama a collaborare diverse forme artistiche, com’è naturale, essendo l’autore uno dei capofila dell’esperienza sonora e verbovisuale in Italia; la sua opera non potrà che essere interdisciplinare, multimediale e sinestetica. […]. Del resto, chi anche solo una volta ha ascoltato Fontana dal vivo, potrà reimmaginare i versi sulla pagina come se fossero eseguiti dalle molteplici facoltà della sua voce, ora stentorea ora sussurrante, ora sibilata come frusta e ora mancante nel bisbiglio. Ancora in quest’ultima raccolta troviamo ben vivi i caposaldi dell’esperienza verbovisiva, l’esaltazione delle potenzialità sonore, accentuate mediante i procedimenti di spezzatura […] e di prolungamento di alcuni tratti fonematici all’interno della parola stessa. […] Quella di Fontana è pienamente una scrittura in vista (per usare il titolo dell’ultimo libro di Marcello Carlino che, tra l’altro, dedica all’opera di Fontana una delle letture finali). Visivi sono non solo i segnali che dicevo (una sorta di nuova e creativa marcatura o punteggiatura sonora), che già obbligano a una lettura particolare, tale da trasformare la scrittura in uno spartito. Vi è inoltre la dislocazione dei testi, la composizione direi “mallarmeana”, che crea mediante la spaziatura dei versi svariatissime e curiose figure d’ogni tipo […]. Da un lato, l’uditivo rimanda al visivo (in quanto è proprio la struttura di ripetizione – su cui poi tornerò – a determinare gli incolonnamenti dei versi) dall’altro lato, il visivo rimanda all’uditivo (così nel rinvio alla notazione musicale delle tavole e dei brandelli figurativi interpolati negli spazi lasciati liberi dai testi poetici).
Tuttavia, per quanto i fondamenti dell’esperienza verbovisiva vengano confermati e soddisfatti, c’è qualcosa di più e proprio questo qualcosa di più rende particolarmente interessante e significativa l’attività recente di Fontana. Vorrei sottolineare innanzitutto il plurilinguismo lessicale che annovera, oltre agli apporti delle lingue straniere – naturali per un performer in giro per il mondo – anche quelli del dialetto e della lingua antica, che sono molto meno usuali nel dizionario delle avanguardie. Tali apporti fanno consuonare i testi di Fontana con sperimentazioni come quelle della Terza Ondata che, alla fine del Novecento, hanno recuperato le lingue in via di sparizione (tale il dialetto, ma anche la lingua letteraria che, ormai, non è altro che un dialetto la cui comprensione è limitata a gruppi ristretti) come corpo contundente da lanciare in faccia al processo di impoverimento della “lingua di plastica”. Qui già comincia a delinearsi la tendenza “conflittuale”, che anima i testi più recenti di Fontana. La funzione polemica della lingua poetica, il suo vitalismo vocale che assume forma e impeto di invettiva […], per cui la felicità infantile della libera fonazione si converte in attacco contro la lingua dominante e il suo potere persuasivo, in realtà stato di ricezione inerte e depauperamento espressivo.
Da questo lato, la creatività sinestetica si mette al servizio di una funzione critica. E il tono dell’espressione pulsionale si converte in rovesciamento sarcastico. Giustamente, nell’introduzione, Mario Lunetta parla di «riso irrefrenabile» connesso all’«ira» e alla «rivolta» […].
La presenza del tema corporale è implicata per la sua natura stessa nella pratica performativa, visto che essa si basa sull’espressione dell’intero corpo del poeta. Lo stesso Fontana lo ha sottolineato in un suo recente studio critico dedicato a queste aree di sperimentazione (Poesia della voce e del gesto), in cui afferma, tra le altre cose, che «la Poesia Sonora si richiama al corpo come realtà primigenia e ultima, occultato, malgrado frequenti pentimenti, dalla letteratura poetica corrente […]. Il corpo si riscopre come il solo luogo in cui si opera l’incontro tra il linguaggio e il mondo» […].
Aggiungo una notazione non di poco conto riguardo alla questione dell’io. L’io è ormai divenuto immancabile, non solo nel senso comune poetico di una poesia che si fa sempre più valvola di sfogo del vissuto, ma proprio in quel linguaggio standard che è la koinè mondiale della poesia. Invece, nei testi di Fontana, che ha ben assimilato la “riduzione” delle neoavanguardie, l’io è praticamente assente: rigorosamente, come vuole la pratica verbovisiva, l’io è l’operatore che sta al di qua dell’operazione (è sulla scena ma non nel testo). Là dove l’io emerge è in funzione metapoetica e allora dice quello che sta facendo […]; oppure si ribalta in uno svuotamento autodenigratorio […]; o ancora prende a carico del soggetto la carica contestatrice dell’invettiva. In ogni caso siamo sempre ben lontani – per fortuna – dalle melense atmosfere della confessione lirica.
Il titolo del libro nonché spesso e volentieri i titoli dei singoli brani rimandano alla cifra del “frammento”. Segno di un mondo fatto a pezzi e di un processo non di ricomposizione, ma di esplorazione dell’infranto. E sappiamo bene, con Benjamin, quanto la frammentarietà sia propria dell’allegoria moderna […]. E allegorica la poesia di Fontana lo diventa soprattutto per il suo traliccio ritmico-gestuale. A differenza di altre esperienze sonore dove il suono valeva per se stesso, come “suono puro”, qui assume senso in una struttura di ripetizione (una costruttività poematica) sorretta dall’impulso ritmico. E tengo a precisare: malgrado il recupero di forme tradizionali come la rima e come certe misure metriche, la ripetizione non ha mai esito d’ordine, quanto piuttosto si mantiene fedele alla provvisorietà dell’impulso, risulta essere una matrice di disordine, la traccia di una irruzione somatica. Così la metrica misurabile è inglobata e travolta nella libertà del ritmo, ogni volta mutato da testo a testo e nello stesso testo.
[…] il suono-segno è l’ombra della cosa, la sua parte apparentemente secondaria e tuttavia non meno reale. In esso si apre lo spazio di libertà di un uso autonomo e svincolato, ma anche la pesante coltre di un tessuto che invade la vita con le dimensioni dominati della sfera comunicativa. E questa contraddizione mi sembra indicata dallo statuto intermedio e doppiamente incerto delle “penombre”. Proprio qui si situa la novità e l’importanza del lavoro recente di Fontana. Dopo aver ricapitolato nell’ampio volume su La voce in movimento […]  tutte le principali direzioni “storiche” delle operazioni verbovisive, ora proprio la vocazione al “movimento” conduce l’autore oltre gli steccati di genere ad un allargamento che contempli il confronto con i feticci e i poteri della semiosfera (e quindi con le concrezioni dei significati) abbandonando ogni illusione di innocenza ludico-infantile e ogni delibazione puramente estetica della sonorità. Ora, magari in connessione con la musica e sulla scena del teatro, la poesia sinestetica vuole giocare “a tutto campo” la sua partita con il mondo dei segni e dei valori.
FRANCESCO MUZZIOLI 2007

 

Possiamo trovare la dimostrazione che l'idea di “intermedia” è alla base dell'intera opera di Giovanni Fontana già nell’operazione di “Radio/Dramma”. L’artista parte realizzando collage di immagini e parole, su cui interviene ulteriormente, perché vengano assemblati in un libro d'artista, poi stampato in più copie. Il volume è concepito come fosse un copione suddiviso in capitoli che danno una scansione temporale al lavoro e lasciano intuire la presenza di una struttura narrativa. Tuttavia le scene illustrate da Fontana non sono pensate per essere rappresentate su un palcoscenico ma sono un vero e proprio radiodramma, cioè un testo di tipo teatrale scritto espressamente per essere interpretato attraverso la voce e le sonorizzazioni. Ad avere senza dubbio affascinato Fontana sono le caratteristiche peculiari di questa particolare forma di recitazione che è fatta esclusivamente di parole, suoni e rumori, elementi primordiali della comunicazione che lavorano all’interno della psiche umana, arrivando a stimolare il lato più istintivo e arcaico della nostra percezione. Altro elemento congeniale alla sua ricerca è il fatto che questi elementi sonori sono prodotti per essere trasmessi attraverso un mezzo tecnologico che permette una comunicazione per flusso, capace di alterare i confini spazio-temporali. Partendo da queste riflessioni l'artista fa un passaggio ulteriore elaborando il copione anche dal punto di vista visivo. Le tavole di “Radio/dramma” non solo contengono espressioni verbali in particolare riferite alla sfera uditiva - come silenzio, interferenze, orecchio, parola, campane, fischi, sirene e grida - ma anche immagini provenienti dal mondo della comunicazione di massa. Alla ricerca di una continua interazione tra suono, parola e rappresentazione, Fontana utilizza successivamente il testo come base per la costruzione di uno spettacolo live che viene presentato al Festival di Fiuggi nel 1979. L'anno seguente regista una lettura dell'opera, che viene edita da Adriano Spatola all'interno della rivista “Baobab”. Dunque il risultato dell'intera operazione di “Radio/dramma”, lunga più di 10 anni, può essere visto come una sintesi del lavoro di Giovanni Fontana che riesce a unire le sue diverse vocazioni di artista visivo, attore, sceneggiatore, performer e poeta declinando un medesimo discorso attraverso le innumerevoli possibilità che offre la parola. La scelta di utilizzare un medium per veicolare un'idea non è per Fontana un'operazione definitiva e limitante, ma uno stimolo, un trampolino - per usare la definizione di Bernard Heidsieck - per riuscire a sviluppare ulteriormente il medesimo lavoro, attraverso un altro mezzo.
MELANIA GAZZOTTI E NICOLE ZANOLETTI 2009

 

Eccola l’intermedialità, appunto, di cui un precedente e un ganglio teorico è il montaggio, caro a tutte le più grandi avanguardie (e intendiamo il montaggio nell’accezione sinestetica in cui lo rilegge Ejzenštejn): non l’allineamento o la contaminazione di taglio postmoderno, non il concorso a gerarchia prestabilita e a graduatoria chiusa, non la turnazione economica e strumentale dei linguaggi così che uno prevalga e gli altri gli facciano corona, non una sintassi preordinata con significati prescritti a corredo, l’intermedialità è più della (è altro dalla) multimedialità (multimediale si è soliti definire la comunicazione nell’odierno clonato e ottenebrante villaggio globale), è convegno sinestetico in cui flussi plurilinguistici e plurisemiotici circolano scambiandosi valenze e proprietà, è fittissima interlocuzione di codici e di forme espressive, è per ciò uso della tecnica non nel verso di una semplificazione del testo e di una rastremazione del messaggio, ma nel verso di una complicazione, di un rinforzo polisenso, di una protesi mobilizzante e di una amplificazione della performatività delle scritture, di un coadiuvante della espressività e della gestualità e dunque della concretezza materiale, “organica” dell’evento artistico restituito come “corpo” pulsante e vitale. Una tecnica “stornata” contro la tecnica a disposizione di una società dei simulacri e del consumo: di una tale riconversione la pratica intermediale è attrice protagonista e garante, in virtù di un riconoscimento dell’energia e del gradiente utopici racchiudibili nell’arte e da essa sprigionabili e in nome del suo valore collettivo e pubblico, specificamente politico.
Giovanni Fontana è un poliartista intermediale; in ciascuna delle esperienze che egli ha condotto, l’intermedialità è la dominante. È il filo rosso che le attraversa tutte: le performances di voci in movimento come le installazioni e le ideazioni e messinscene di pièces teatrali, le tavole di poesia visiva come i libri d’artista, la poesia sonora alla stessa stregua della poesia lineare. In tutte la tecnica è il presupposto: dalla tecnica artigianale della rielaborazione dei materiali poveri (con esiti di arte concreta) che veicola il significato di una manipolabilità e di una possibilità di riuso, di una riproducibilità come ipotesi di una esteticità diffusa, alla tecnica dei server sonori che sfibra e decostruisce e riverbera e raddoppia suoni e voci. […] L’intermedialità di Fontana suppone, in premessa, la tessitura di un rapporto biunivoco di spazio e di tempo nella rappresentazione-evento, che – né soltanto l’una né soltanto l’altro – è congiuntamente evento e rappresentazione. Se, infatti, la bifocalità della figura e il fatto che sia resecata o sfumi contengono un invito e implicano una eventualità di prosecuzione, ovvero profilano una mancanza ad essere che apre all’attesa (al tempo) di un suo riempimento (è il meccanismo del non-finito o dell’indefinito di alcune poesie visive realizzate con la tecnica del collage; è il meccanismo dell’opera aperta che è poi l’analogo del meccanismo del desiderio), la sezione geometrica e la quadrettatura come in formelle (è un leitmotiv in Fontana) esercitano una contenzione e alludono ad una richiudibilità in grado di trattenere il figurato o gli sciami verbali in uno spazio dato. E se il testo tende ad una compiutezza linearmente definita, con richiami possibili alla forma visiva dei calligrammi, già nelle prime prove di abrasione lettristica del rigo-sequenza si ha il rimando al motivo-spartito che richiama tanto una sonorità virtuale, o una vocalità mentale, quanto la prassi incipitaria del pre-testo, che richiede un prolungamento e una proiezione dallo spazio nel tempo dell’esecuzione e della variazione possibile. E viceversa il tempo del suono, come in tutta la musica d’avanguardia, nelle sue video-opere ha bisogno di progettarsi in relazione ad uno spazio e di localizzarsi come urbanisticamente.
E poi si tratta davvero, in Fontana, d’una funzione invariante: non v’è suo testo, e dunque testo intermediale o di intermedialità poliartistica, che si sottragga ad una relazione intertestuale e che non sviluppi una sequenzialità macrotestuale: e cioè il reimpiego e la citazione (le sperimentazioni di scrittura sinestetica hanno sempre una diatesi intertestuale e costituiscono prova della intertestualità di base ad ogni operazione artistica, che i teorici hanno ormai assodato), nel lavoro di accostamento e di ritessitura e di sviluppo proiettivo verso il nuovo (nel lavoro di decontestualizzazione e di ricontestualizzazione) che Fontana pone in essere, si sistemano su di un asse diacronico che pretende la misura più ampia e il tempo di previsione del macrotesto. Il “qui ed ora” dell’evento si rassoda nell’impegno di un testo che più consiste, che più si “ferma” nello spazio (che ha una “consistenza” maggiore o una minore occasionalità o volatilità) e che, contemporaneamente, evoca e indica una più ampia durata, una più lunga e diramata disponibilità e articolabilità nel tempo.
Insomma le opere di Fontana, comprese le sue performances, si dispongono nel cuneo tra piano sincronico e piano diacronico, o spazio e tempo; tra le ascisse e le ordinate del frammento e dell’intero, del puntuale e dell’esteso, dell’evenienza episodica e del racconto, della particolarità occasionale e dell’architettato, dell’improvvisazione e della progettazione.
MARCELLO CARLINO 2009

 

La meta, sempre spostata altrove, sempre rinnovata dell’arte di Fontana è quella performatività della parola in stretto rapporto con l’immagine e il suono: quel luogo di affilata (e anche dolorosa talvolta, e talaltra ironica, e crudele, e giocosa, altrove, e così via per diverse possibilità di registro) risemantizzazione della lingua che coincide con il deragliamento della parola scritta verso la vocalità e verso la visività. La scrittura per lui si configura come momento e spazio di uscita da sé, dai confini della pagina, per una composizione mista in cui la parola è elaborata sempre in funzione di una praticabilità sonora, oppure, e insieme, in vista di una resa figurativa, calligrafica. Così che ogni testo diviene tavola, “pre-testo”, appunto; cioè punto d’avvio per produrre altre posture (foniche e visuali) del testo di partenza. Pesa sicuramente, tra le altre cose, l’eredità delle avanguardie storiche, e segnatamene del futurismo, che proprio nell’interazione tra parola e immagine (nelle tavole e nell’interpunzione grafica) e tra parola e suono (nella dizione poetica e nell’“arte dei rumori”) ha depositato il suo lascito più fertile di sviluppi (e, per fare due esempi, compare in Radio/Dramma di Fontana la figura di un palombaro, che già appariva in una tavola di Govoni, e di Francesco Cangiullo Fontana ha ripreso l’esplosivo poema Piedigrotta). E poi, è importante osservare come questi strati polisemiotici agiscano in attrito, e si muovano lungo uno spettrogramma della deformazione: che sia quella sonora, per mezzo di manipolazioni elettroniche della voce che si risolvono in grida e sussurri, in borborigmi, in lacerati strepitii che sembrano – vedi il Poema larsen dell’83 – la traduzione di un Rumori e voci manganelliano (e alla bisogna il catalogo si espande ulteriormente con la necessaria presenza di un CD che raccoglie alcuni campioni acustici); o che sia quella visiva, mediante l’accorto e diversificato uso del montaggio. È davvero difficile restituire in discorso quello che è un continuo slittamento di piani: il testo è pure pentagramma, di notazioni sovrapposte, eterogenee, ed è deposito di materiali, di addensati elementi dell’immaginario contemporaneo e di allegoriche figurazioni, che, così accostati, producono cortocircuiti di sensi in protesta (vedi le Sirene), di rebus compositi (vedi i Paysages), di deflagrazioni segniche (vedi le “carte da parati”), di lastre radiografiche (vedi la Suite elettrografica) che espongono come tanti “negativi” del linguaggio comune, dove il noto è trasfigurato e stravolto in una plurale formazione enigmatica.
Il linguaggio, anzi, i linguaggi vengono sempre filtrati da Fontana secondo tecniche denaturalizzanti, attraverso le quali essi non vengono mai licenziati senza prima aver subito un processo di trasformazione, un lavoro pratico di risignificazione. Anche i generi vengono pertanto reinventati: poesia, ritratto pittorico (nei collage ma pure nella serie Della simmetria dei corpi, dove il profilo umano è disumanato e misurato da inserzioni numeriche, attraversamenti verbali, segmentazioni settoriali), ma anche il romanzo, il genere più genere che ci sia, viene rifunzionalizzato nella prospettiva vocale, e perde i suoi statuti, e acquista nuove possibilità (vedi, e senti, il brulicante Tarocco meccanico. E altre prose difformi, che indagano il tema pressante, ecologico e allegorico, delle scorie, sono quelle di Questioni di scarti).
Ovunque è ravvisabile una minuziosa attenzione all’architettura del testo (del resto Fontana è anche un architetto, e di suoi antenati-colleghi dà conto egli stesso, in un vivace scritto biografico introduttivo). E, nell’architettura, al dettaglio, ovvero al tratto calligrafico, che divarica la sua corrispondenza segnica e abborda la polisemia dell’icona: si veda la serie Disquisizioni sulla filosofia eraclitea, in cui le parole assumono le sembianze di linee, riccioli, in un vespaio di frecce che ricordano le evoluzioni aeree delle rondini a frotte. Qui si osserva, amplificato, un fenomeno diffuso anche altrove, per cui la scrittura si svela nella sua attitudine graficamente vettoriale, nella sua conformazione fitta di segnali direzionali, nel suo disporsi come flusso in movimento internamente conflittuale. Sì che il corpo-testo è leggibile da più punti, e la lettura deve seguirne i sobbalzi, i vuoti d’aria, le circonvoluzioni, gli scarti laterali. Una lettura pertanto accidentata, mai lineare, bensì sempre progredente per salti e per cambi inconsulti di sollecitazione. D’altronde le parole, laddove non vengono frammiste di segni eterocliti (immagini, notazioni musicali o anche metriche, come le quantità latine che costellano lo “spartito” testuale), sono costantemente soggette allo smontaggio dei propri componenti, in un’arbitraria ridistribuzione sillabica; oppure, come nella Agudeza y arte de ingenio dell’83, serie di “zeroglifici” composti in collaborazione con Spatola, patiscono una carneficina tipografica, tagliate come sono in lamine trasversali, negate alla comunicazione immediata di un significato, ma poste come schegge contundenti di una bomba bloccata nel fermo immagine dell’esplosione.
La collezione del catalogo di Fontana contiene anche una ricca messe di interventi critici (dal sodale e amico Spatola a Henry Chopin, da Lora Totino a Niccolai, da Heidsieck a Miccini, da Muzzioli a Zumthor, da Lunetta a Carlino, e ancora molti altri), che contestualizzano e puntellano i lavori racchiusi; nonché diversi scritti teorici dello stesso autore, come Hypervox. E ancora trovano spazio un’ampia biblio-discografia, una cronologia, un elenco di esposizioni, performance, interventi, oltre a una raccolta fotografica che testimonia la fitta rete di rapporti personali e professionali tessuta da Fontana dagli anni Sessanta in qua.
È un volume prezioso, insomma, questo Testi e pre-testi, una Wunderkammer di parole, immagini, suoni, segni che, se certamente non può appagare del tutto le sollecitazioni incontrate dalla lettura, come potrebbe fare solo la dimensione performativa in cui e per cui è sempre pensata la scrittura di Fontana, di sicuro supera di molto e mantiene più promesse di quelle che la dimensione cartacea del libro normalmente può offrire.
MASSIMILIANO BORELLI 2010

 

Il lavoro fono-visuale e performativo di Giovanni Fontana è tutto centrato sul presupposto che investigazione e produzione artistica debbano assolutamente esplicarsi in chiave intermediale.
Poliartista – come lui stesso si definisce – ma sostanzialmente performer, Fontana riesce a dribblare con grande scioltezza fra le arti visive, teatro, musica, architettura e ad agire tra sconfinamenti e commistioni assegnando però alla voce una funzione portante. «Il testo – scrive – non ha mai giocato partita più grande con l’immagine, con il suono e la voce come in questi anni contraddistinti da una nuova oralità». La voce quale medium di cui Fontana ricerca le possibili identità diviene secondo prassi diverse argomento di se stessa per farsi materia e suono, talora emancipandosi dalla parola, con l’apporto di tecnologie elettroniche ed effetti speciali (amplificazione, loop, eco-delay, ecc.). Il libro dei labirinti, il libro-opera che funge essenzialmente da spartito per azioni intermediali, è da considerare come pre-testo nella duplice accezione di “punto germinale” ma anche possibile pattern produttivo di “ipertesto” o di testo a più livelli; – tale è poi l’insieme dei contenuti di tutta l’opera di Fontana. Testo generato da una azione diretta sul libro, che viene sfogliato, letto, attivato e perlustrato senza sosta in un corpo a corpo sinestetico, ricco di continue sorprese: spartiti ovviamente ma anche oggetti, congegni, dispositivi e materiali diversi, tra le pagine tenute insieme da un corposo groviglio di fili – che poi non sono altro che i fili-guida che indicano il percorso della nostra ricognizione lungo le strade tortuose del labirinto. Sullo schermo posto alle spalle di Giovanni – come spesso nelle sue performances recenti – è proiettata l’azione ripresa dalla telecamera.
Tutto accade su un piano, un piccolo tavolo dove il libro e l’artista danno luogo ad una azione, quasi rito che ha del magico: lo scandaglio pagina per pagina di un contenitore che diviene tanto una sorta Wunderkammer rinascimentale quanto un luogo di continua verifica e sperimentazione polisensoriale e delle coordinate spazio-tempo, come un audacissimo laboratorio di tecnoscienza.
ANNA GUILLOT 2011

 

Lesa sul Lago Maggiore, 19 aprile 2012
Caro Giovanni,
sto sfogliando il catalogo (o libro, o antologia poetica e visuale, o documentata e collettiva testimonianza) della tua mostra di Pedaso “… che digerisce l’anima” e come sempre davanti alla tua poliedrica e raffinata ricerca non posso far altro – e ciò assai mi coinvolge – che rimanere sorpreso e incantato. Non ho visto la mostra, e mi dispiace, e probabilmente purtroppo non potrò essere a Pedaso entro fine mese. Tuttavia il pregevole volume mi fornisce gran parte delle suggestioni che, presumo, mi sarebbero donate dal percorso della mostra medesima: non nascondo in proposito la mia propensione a ritenere la scrittura verbo-visuale, per struttura e finalità formali sulla pagina, poesia a tutti gli effetti (compresi, a prima vista, gli stessi della poesia tradizionale, vale a dire poesia da leggere). Perciò sfoglio le pagine nella scansione e nel solitario godimento della lettura comunque libresca. Anche se i tuoi libri, valgono sempre proprio, paradossalmente, per il loro poetico disincanto, per la loro prolifica disarmonia: qui, in questo libro (come in altri tuoi), per quanto attiene segni, immagini, frammenti, scritture asintattiche eppure arditamente composite, ritrovo come lettore, solo per fare il più facile e banale esempio e senza compromettere la tua assoluta originalità, le avventure linguistiche, e in quanto linguistiche di senso altro, di un Joyce… e perché no, di una antologia neo-dada (direi meglio dada + pop art).
Ė un libro da leggere anche con felice riferimento alle consistenti e pregevoli note critiche e amicali dei prefatori. Cosicché è difficile, tanto sono esaustive, dire molto di più (sebbene l’opera tua sia sempre apertissima e poeticamente ambigua) dal punto di vista critico e anche biografico. Vengono messe puntualmente in evidenza le caratteristiche basilari di questo e del tuo lavoro in generale.
Lamberto Pignottti, con la sua ben nota acribia storico-critica sottolinea, quasi drammaticamente rispetto all’attuale condizione umana e sociale, la tua già pubblicata «… paura di naufragare [senza leopardiane dolcezze, aggiungo io] sulla barriera degli scogli», rifacendosi alla crudeltà fascinosa del canto delle Sirene (le Sirene della nostra odierna con-fusione mediatica). Ma ricordando anche che tutto infine è «un gran bel gioco».
Mauro Carrera  ti dedica addirittura un’Ode:  … «Quando la testa comanda… / i corpi seguono in grovigli indistintamente sensuali / e le parole cadono ai piedi, deboli e supplici…».
Il gallerista Claudio Marcantoni sottolinea che il corpo i corpi (protagonisti dei tuoi raffinati collage) vengono ‘descritti’ con linguaggio insieme passionale e ironicamente critico, se non cinico, dettato dalle «vicissitudini dei nostri giorni».
Marzio Pieri  rimanda alla sua eccezionale natura barocca (?!) la lettura delle tue biologie segniche; e Marzio Dall’Acqua rammenta (anche con amichevole nostalgia) le vostre avventure da “TAM TAM” alla rivista “Dismisura”.  Infine, per ognuno, un  tuo ritratto a tutto tondo non solo critico, ma anche affettuoso… al quale naturalmente mi associo! Un ritratto che non trascura affatto (anzi!) l’importante capitolo delle tue ‘teatrali’ proposte in perfomances vocali, foniche e musicali (ma il libro, ovviamente, non può dare testimonianza di quel tuo importantissimo lavoro espressivo!).
Ma lasciami finalmente venire alla irragione del Corpo, dei tuoi Corpi: alla ventura di questo straordinario (sebbene strettamente coerente con il tuo lavoro di sempre) viaggio segnico e immaginifico. E tout court poetico, ancorché, anzi proprio per questo, destrutturato e infine abilmente e sensualmente ricostruito. Tuttavia mai definito o definibile.
C’è innanzitutto la scoperta di un personalissimo linguaggio.  “La conoscenza del linguaggio come oggetto di ricerca” fu una delle ossessioni di Noam Chomsky (tr.it., Il Saggiatore, 1989): «Da molti anni sono affascinato da due problemi che riguardano la conoscenza umana. Il primo è il problema di spiegare come mai possiamo sapere tanto avendo a disposizione dei dati così limitati. Il secondo è il problema di spiegare com’è che riusciamo a sapere così poco pur avendo tanti dati…». Ciò può valere fra l’altro per la tua ricerca sul Corpo, qui per lo più femminile, nell’ambito di una conoscenza del soggetto in fondo limitata e - perché no? – tradizionalmente offerta,  sulla quale tuttavia influisce con una certa violenza segnica e di senso il complesso rumore della realtà, e soprattutto della condizione umana odierna tormentata (ma anche sensualmente e felicemente polimorfica) da una infinita congerie di dati fondativi di una vitalità, con-fusa appunto. Che gioca con crudele malizia, o incosciente accettazione, con la nostra irragione d’essere. Tanto sapienti e tanto innocenti (falsamente o no!). Dalle passioni tanto coinvolgenti e talvolta drammatiche, dalla volontà (impotente?) di coordinare in proposito un linguaggio che, comunque, non tanto spieghi o comunichi (in senso utilitaristico), bensì ci aiuti a tracciare l’esistenza e la sua oggettualità attraverso una profonda, originaria, fondativa struttura linguistica.  Dopo l’azzeramento, umano e artistico, portato avanti con rivoluzionaria o addirittura ‘rabbiosa’ (?) tenacia, ora, come l’uomo della caverna, ci troviamo a dover inventare il linguaggio di segni e di suoni che ci permetta di affrontare quella latente e disordinata energia che ancora una volta ci offre la natura, comunque. Questa illusione, che in te si offre tuttavia come progetto, è propriamente quella necessità di digerire l’anima. Digerire l’essenza malgrado tutto ancora sconosciuta, sebbene i mezzi a disposizione siano infiniti (ma troppo spesso indefiniti), della conoscenza del Corpo.  Pur sempre presente (come pur sempre siamo presenti noi!), come Anima (da anim-azione…), vale a dire, laicamente, come Mente sensitiva e sensuale. E… luogo delle probabilità di conoscenza.
Dovrei, per confermarmi in questi modesti ‘pensierini’, analizzare i testi esposti alla tua mostra e riprodotti con indubbia chiarezza grafica in questo tuo catalogo. Non è possibile ovviamente: perciò devo limitarmi, mentre sto sfogliando, alla superficiale analisi di una pagina, sulla quale soffermarmi a caso. O forse non tanto a caso poiché, per una certa ricerca strutturale più volte reiterata, mi sembra interessante ‘leggere’, per esempio, una delle poesie verbo- visuali, della serie nominata con il pronome “che…”.  Mi soffermo su quella che porta la didascalia “che l’orrore catodico appassisce”.  Didascalia in qualche modo, a prima vista, chiaramente rimandata alla crudele assurdità delle immagini offerte dai media visuali elettronici e filmici: guerra, sesso (ammiccante…), violenza… Lo dico, ovviamente non per te, né per chi ha il catalogo sottomano: si sovrappongono abilmente, dal punto di vista formale, l’immagine di un combattente che porta sulla spalla una mitragliatrice, e una attraente donnina (privata del viso, perciò anonima, generica) che porta una provocante guepierre.  Possediamo bastanti e sfaccettati elementi segnici per cogliere l’orrore di cui dice la didascalia, ma siamo purtuttavia confusi fra l’irragione degli “eventi” (scritta del collage tolta da un quotidiano) e le “idee” (altro collage) che vorremmo riordinare per giustificare la situazione. Ecco che si fa strada il tuo tentativo di riorganizzare, o addirittura fondare, un nuovo strumento linguistico che ricostruisca una parvenza di unità, pur sempre, ripeto, ambigua e polivalente. Meccanismo assolutamente poetico anche secondo la tradizione poetico-scritturale. Non si tratta di fornire risposte, ma piuttosto di ingabbiare in un discorso dinamico le domande che (come avviene oggi quotidianamente per tutti quelli che abbiano… un’anima) ossessionano la nostra incapacità di gestire i tanti dati (non solo tangibili ma anche, qui nel collage, infinitamente allusivi) che possediamo e che ci coinvolgono spesso, quasi sempre, anche o soprattutto inconsciamente. La gabbia è una sorta di puzzle a scacchiera geometrizzante che ritma, secondo una precisa mappatura tuttavia errante,  il confondersi della immagini, visibili e psichiche. Posso dire che ciò denota la tua propensione musicale alla voce, insieme alla tua visione architettonica (professionale!) della realtà?
E a proposito di spartito errante va segnalato che il volume si conclude con un tuo dinamico e plurilinguistico poemetto dal titolo appunto “Erranze”, che giustifichi in nota: “La pagina non è un semplice spazio d’accoglienza di materiali verbali e visuali, non è un dock. Ė un campo di relazione, dove frammenti dell’immaginario contemporaneo si ricompongono in forme nuove…”. Mi accorgo d’aver fatto troppi discorsi che potrebbero assai più facilmente sintetizzarsi in questa tua dichiarazione! Cito in breve da un passo tuttavia ancora problematico dell’ultima strofe del poemetto: “… si trasforma e si trasforma il senso / in prospettiva di corporeità… //
… la mappatura del genoma svuota la speranza”.  Quindi, è la tua firma, ancora e sempre è tutto da rifare…
Un caro saluto.
GIO FERRI 2012

 

Il volume, un omaggio alla recente serie di opere che Fontana (quello senza cutter, ma altrettanto tagliente) ha esposto alla Galleria Marcantoni di Pedaso ad aprile, si presenta da subito come qualcosa di estremamente singolare. Mauro Carrera, il curatore, è riuscito a infondervi un’impronta variegata, su più piani e più stili, che si accosta alla personalità di Fontana e la riproduce in maniera affine.
Dopo avergli dedicato la sua Ode cieca alle poesie visive di Fontana (perché di poesia visiva si deve parlare, anche per la sua produzione propriamente “artistica”,  nonostante questo termine appaia inevitabilmente generico per ogni istanza del XXI secolo e, a maggior ragione, per la multifunzionalità delle sue creazioni), coinvolge diversi esperti che hanno dato, ciascuno a suo modo, un contributo all’interpretazione della sua figura.
A cominciare da Lamberto Pignotti che, per l’affinità delle comuni esperienze di poesia visiva, interpreta la serie come una rilettura post-moderna e in chiave consumistica dell’uso delle potenzialità comunicative del corpo – soprattutto femminile – da parte dell’universo mediatico. Un uso che rievoca i poteri ammaliatori di figure mitiche, consapevolmente e volontariamente suadenti, come Circe o le Sirene. Come Ulisse, anche Fontana comprende che, per non restare perennemente incatenati all’albero della nave o con la cera nelle orecchie, è necessario cedere alle lusinghe del canto sensoriale, addentrarvisi e viverlo, sfondarlo, come accade con lo spazio nelle sue opere, fatte di frammenti di volti scissi e scombinati che si fissano nello sguardo e nella mente del fruitore a suggerirgli forse la chiave di interpretazione del reale.
Claudio Marcantoni, che ha messo a disposizione la propria galleria per l’esposizione delle opere di Fontana in continuità con il filone, seguito di recente, della valorizzazione delle avanguardie tra gli anni Sessanta e Settanta, ripercorre il loro primo incontro, e il conseguente dispiegarsi in lui della consapevolezza di trovarsi di fronte a un artista poliedrico, in grado di sfruttare appieno la compenetrazione di vari linguaggi in un collage comunicativo che scaturisce direttamente dai suoi mosaici visivi.
Marzio Dall’Acqua ritrova, in quest’occasione, il collaboratore e il compagno di un tempo che la vita aveva allontanato; ricorda le esperienze passate, il soggiorno a Refrancore e il progetto della rivista Dismisura nonché il loro incontro a Rimini, che gli avevano permesso di conoscere l’artista e soprattutto l’uomo.
Il testo che (non) ti aspettavi (in risposta all’invito di Carrera) di Marzio Pieri, sulla base del paragone azzardato eppur efficace con Gioviano Pontano, delinea l’indole versatile e multiforme di Fontana, che rappresenta un unicum ai giorni nostri (basti pensare al saggio La voce in movimento o ai romanzi sonori, quasi post-futuristi, Tarocco meccanico e Chorus) e riesce a coglierne l’essenza espressiva e a penetrarne la vena artistica più autentica che si configura come atto comunicativo pre-testuale.
Dopo gli omaggi, si apre la rassegna delle quarantadue opere in mostra, create con l’accostamento e la sovrapposizione di frammenti di immagini e testi: brandelli anatomici si intersecano a parole tronche, sillabe, stralci di punteggiatura. L’incompiuto e l’abbozzato, le sole cifre che rappresentino la caotica dimensione della società dell’immagine, che vive di parzialità e di esteriorità apparente, costituiscono il principio primo delle composizioni, come risulta evidente dai titoli; molti di essi e, nella fattispecie, quello dell’intera mostra, sono costituiti da un enunciato relativo, introdotto da alcuni punti di sospensione e dal che, sottintendente il corpo – vero protagonista dell’esposizione – come soggetto). Fontana dà vita ad assemblaggi rarefatti ed eterei eppure perfettamente concreti e materiali, accostati con quell’eleganza e quel senso dell’armonia che forse costituisce la vera quintessenza dell’arte.
Fanno da corredo alla sezione visiva i componimenti – in cui è la parola a farsi visiva – Notturno (che viene ripreso, in citazione, anche dalla copertina) ed Erranze, rispettivamente in apertura e in chiusura; si realizza così appieno il gioco, permesso dalla pagina bianca, di accostamenti e interazioni verbali che porta alla nascita di immagini dal raffinato valore espressivo sempre nuove e sempre suscettibili di nuove intersezioni extratestuali.
ELISA CAMERA 2012
 

Quando il mondo era l'ammasso e il magma
[...] Simmetrie, volte a controllare l'avviluppo merleau-pontyano, secondo quanto ne scriveva Sartre, la poltiglia e altri scudi iperprotettivi: da quello Spaziale degli anni Ottanta a quello Fiscale degli anni Novanta − dall'uomo iperprotetto, alla forma oggidiana dell'ipermodernità − in una forma corrotta d'allucinazione collettiva, di psicosi maniacale, dove la ragione non riesce più a mediare, e il localismo è un'impossibile retromarcia feudale; dove finisce l'epoca, e nulla perciò è ancora possibile. Ai cosiddetti “guardiani del faro” tardo-moderni, non resta che una solitudine impossibile nel suo farsi, naufragati oggi nell'oceano delle sollecitazioni multiple d'un corpo reso proteiforme, d'un cervello a pezzi, sommerso dalle protesi d'un'onda virtuale, nell'ultra–post-moderno, superdigitale. Dove viene a mancare lo sviluppo di quell'architettura «come sintesi della ritmica comunitaria». Dove tornare a nascondersi può significare la fuga dall'ipercontrollo mediatico ed alla Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (Ferraris 2010), si viene contrapponendo la realtà di coloro le cui tracce vengono cancellate, rese invisibili, sterilizzate e occultate da poteri anch'essi senza volto, perché la gente possa ignorare i loro crimini; mentre le non-vite parallele degli schizo, la clandestinità sotto pericolo di sfratto dei depressi, le voci inascoltate degli esclusi, dei disadattati, vengono trattate in modo da essere sotterrate: perché è necessario non lasciare tracce. Dal controllo fecale alla paranoia, infine, tali asimmetrie coabitano in modo sotterraneo; interrotte soltanto dall'equidistanza dei media, dalla infrangibilità d'un sistema complice del degrado, che galleggia e trae profitto dalla povertà, nel frantoio di un' intelligenza contadina che disappare nello sporco lavoro della terra, jamais creolo mitomorfo, ma con la schiena sempre incurvata, o forse si àncora e disarciona, in astuta contemplazione, dove comunque non può riuscire ancòra ‘a riveder le stelle’. Al culmine della rivoluzione tecnologca, siamo stati catapultati al rantolo della preistoria, o forse al comincio della modernità, con le riflessioni sullo stato di natura, il (buon) selvaggio di Rousseau è ancora alle porte, dunque: questi ed altri, i suggestivi intrecci semantici, le sollecitazioni a cui c'invitano a riflettere le Questioni di scarti, che sono anche questioni scartate, nell'analisi condotta con supremo controllo estetico/etico, da Giovanni Fontana, Auctor Expertissimus [...].
STEFANO DOCIMO 2013

 

CUT-UP
La tecnica del Cut-up – oggi più prosaicamente del Copia-Incolla, o dei più sofisticati programmi di progettazione industriale, di grafica e design (AutoCAD, Photoshop, ecc.) – già in uso tra le Avanguardie dadaiste del primo novecento (Tristan Tzara), largamente utilizzata in seguito, a partire dagli anni sessanta (William Burroughs), e dalla Neo-Avanguardia del Gruppo ’63 (Balestrini); con effetti di elaborazione elettronica per quest'ultimo autore, in anticipo sui tempi, almeno per quanto riguarda il nostro paese, vedono in Giovanni Fontana un esponente di spicco, non soltanto per via di tale tecnica di montaggio, volta anche alla sprovincializzazione della penisola; ma soprattutto per il rigore e l'ampiezza performativa dei suoi interventi, già sul fluire degli anni Settanta, in una ricerca che continua ancora oggi, con instancabile determinazione e generosità, fino ad esser divenuta punto di riferimento essenziale per chi opera nel settore; ma non solo.
STEFANO DOCIMO 2013

 


UNA SCRITTURA DEL RIFIUTO
Giovanni Fontana è uno dei principali operatori italiani nell’ambito della poesia verbovisiva. Tale corrente è stata, nel corso del tempo, una sorta di “assicurazione” di sperimentalismo. Mentre la poesia cosiddetta “lineare” veniva investita, fin dagli anni Ottanta e poi sempre maggiormente, da una forte ondata di riflusso e rimaneva in balia dei rigurgiti spiritualisti e delle retromarce liricheggianti, finendo per essere considerata – nel senso comune – un diario dell’intimità o una lingua dell’anima, se non una lamentazione orante; invece, il lavoro del collage (dal lato visuale) con il montaggio straniato dei materiali prelevati dall’immaginario collettivo, oppure (dal lato sonoro) la scomposizione della parola e la ricerca sull’espressività intraverbale dei tratti soprasegmentali e perfino dei respiri, mormorii e quant’altro, questi procedimenti “d’avanguardia” hanno garantito agli autori di quest’area a metà strada tra le semiotiche una pratica tutta materiale fatta di gesti e di corporeità, ma anche di tecniche sempre più aggiornate, e li hanno preservati dall’indulgere in presunte vibrazioni esistenziali o nei narcisismi del vissuto. Fontana, per altro, è intervenuto nell’area verbovisiva con una sempre maggiore perizia, utilizzando a fondo le risorse della ripresa video, dell’ipervocalità, della musica elettronica, ecc. ecc., toccando l’apice nello spettacolo globale di Epigenetic Poetry (Centrale Preneste, 2011) . Rispetto, però, a quella linea della poesia sonora che procedeva – secondo la formula di Barilli – verso il “termine della parola”, giocando sulla spezzatura della sillabazione o su parcellizzati effetti fonici, Fontana si è andato convincendo sempre di più della necessità di riconquistare lo spazio della poesia “lineare”, forse proprio per non abbandonarlo alla sua deriva sublimatoria, e ha sperimentato un aumento del respiro poematico del testo, fino ad arrivare alla composizione in prosa e ad una ampiezza che corrisponderebbe a quella tradizionalmente del romanzo. Questo avveniva già in Chorus (edito da Manni nel 2000), che recava come sottotitolo Romanzo per voci a battuta libera, e ora si ripropone con Questioni di scarti, pubblicato dall’editore Polimata nella prestigiosa collana “Ultra/corpi” diretta da Massimiliano Borelli, una collana di controtendenza dedicata ai testi narrativi anomali.
Come attestato delle sue radici verbovisive (l’autore ha esordito nei tardi anni Settanta con le edizioni Geiger di Adriano Spatola, quindi proviene da una costola della neoavanguardia), Fontana ha inserito nel bel mezzo della sua prosa una sezione di collages, costruiti con ritagli di immagini e di frasi sovrapposti alle sue tipiche linee parallele tracciate a mano, quasi un pentagramma in liquefazione. Non si tratta di “illustrazioni” al testo, bensì di un testo parallelo per figure, non destinato a una fruizione edonistica (come nell’uso fatto nelle immagini di consumo), quanto piuttosto da interpretare rapportandone il senso ai due blocchi di testo linguistico che lo circondano. Se questa sezione dimostra la fedeltà al regime visivo, la prosa dimostra a sua volta la fedeltà al regime sonoro: si tratta infatti di una prosa molto particolare, che non si rassegna per nulla a fare da semplice tramite al contenuto di un racconto. Intanto, del racconto esclude la scorrevolezza, costituendosi di frammenti, di brani di una o poche pagine, ma anche ridottissimi di una riga, sul tipo delle “lasse” dei romanzi sperimentali degli anni Sessanta – e a un certo punto ritorna addirittura il termine «Antiromanzo». All’interno, risultano fondamentali i procedimenti del ritmo e della rima. Ovvero il ricorso alla sintassi battente marcata dal punto fermo come unica punteggiatura e pausazione, fino alle contrazioni della frase nominale (una tendenza verso l’elencazione o verso una coda di supplementi); e la tessitura sonora, l’associazione secondo l’analogia del corpo del significante. Un esempio:

"Non a caso non si finisce mai di soffrire. Per vuoti. E per i pieni. Per perdite e veleni. Per ogni giorno stretti al passato. Perché il conflitto è disperato. Per il passo intrecciato che non ha mai fatto ritorno su sé stesso. Per lo squasso e il trapasso. Per la vana ricerca di un senso. Per riempire il dissenso nelle fasi di contrasto. Ecco. Adesso. Il nesso. Il possesso. C’è da colmare lo spazio. In uno strazio fisico. C’è lo spa¬zio metafisico. Il vuoto dentro e il vuoto fuori. Tiran¬dosi sugli occhi i veli che escludono i deserti. Scorie".

Una retorica priva di abbellimenti, insomma, e di auratiche suggestioni. Fa ritmo anche l’alternanza delle due voci, riscontrabile sia nella prima che nella terza sezione, contraddistinte ciascuna con un suo intercalare iniziale: prima “Non a caso”/ “Direi” e poi “Si tratta”/“Del resto”. È un linguaggio dalle molte risorse: utilizza il doppio senso (come quello sulla «società avanzata. Avanzata da ieri l’altro»); si incrementa di citazioni, sia dirette («Dietro mareggiate di grattaceli scriveva Pasolini») o più o meno mascherate («stiamo appesi a questi rami così com’erano le foglie del poeta», che è Ungaretti, of course) o anche in forma di allocuzione («Essere flessibili mio caro Bauman significa prepararsi a essere insicuri anche»). 
Un procedere battendo il tempo, ma battendo anche  con la lingua dove il dente duole. Infatti, gli aspetti formali che ho indicato caratterizzano un testo in cui il contenuto è assolutamente rilevante e continuamente affrontato senza esitazioni e occultamenti e neppure tante deviazioni. Il tema, indicato dal titolo stesso degli “scarti”: la gestione dei rifiuti, la raccolta, lo smaltimento, il riciclaggio delle nostre deiezioni quotidiane. È la malattia del consumismo usa-e-getta, una produzione impazzita e fuori controllo che si traduce nell’assedio delle discariche e nella maledizione del non-degradabile, nel «degrado irreversibile». È il «volto tragico», dice Fontana, della abbondanza delle merci e della loro promessa di felicità. Un problema enorme, come si sa, di tipo logistico, ambientale, etico, sanitario, che coinvolge l’organizzazione, la tecnica, le considerazioni idrogeologiche, e che chiama in ballo l’ordine pubblico, la lotta alla corruzione, le decisioni amministrative e gli interessi dei privati e della criminalità organizzata, e chi più ne ha più ne metta. Una filiera senza fine, perché, come si legge qui, «ogni problema conduce ad altro». Tutti questi molteplici e diabolici risvolti, questa rete di «pervertimenti pervasivi in pervicaci consensi», compare nel testo di Fontana, trascinata nell’incalzare della scrittura (la poesia come «inaccettabile parola») e nella struttura dialettica delle voci rimbalzanti. I titoli delle sezioni sono oltremodo significativi: Questioni di scarti è il primo, che si allarga al testo nel suo insieme – e “scarto” è termine bisenso, che si attaglia assai bene anche agli scarti della scrittura che procede per sobbalzi, interruzioni, riprese; il titolo della seconda sezione (quella visuale) è Polluzioni, dove pure l’ambiguità tiene insieme l’inquinamento con le emissioni sessuali; la terza sezione s’intitola Smaltimenti e si presta a costituire il momento finale, la sorte dei rifiuti. 
In questa stagione in cui l’industria del romanzo tende – tra le altre opzioni di moda – molto all’autobiografismo e al personaggio-autore, qui le voci non tradiscono alcuna appartenenza. L’autore non ci dice nulla di sé e non permette che si costituisca alcun personaggio o simil-uomo: le due voci non sono altro che l’articolazione di uno stesso discorso, rigorosamente impersonale. Un discorso, oltreché in prosa, davvero prosaico, che non esita a ospitare la terminologia di un reportage; perfino il valzer delle sigle:

"Del resto il gioco delle sigle è presto fatto. Quell’effeò che stava per Frazione Organica. Fu riveduta. Ampliata. Mutata qui in musivo. Che vale ora per Merdume Umido Scomposto Insospettabilmente Virescente Ovunque. Non più l’erresseù per Rifiuti Solidi Urbani. Ma ire per Invadenti Rigurgiti Ef¬fluenti. Per disordini e scarti. Conglobalizzanti. Qui".

Perché certamente le cose dette sono quelle che si possono ritrovare in Saviano o (nella televisione) in Iacona o in altri programmi d’inchiesta. Tuttavia, qui il reportage non si mangia lo specifico letterario e neppure gli assicura una patente d’impegno che gli salvi l’anima. Piuttosto è il carattere autonomo della scrittura, il suo come, la sua distanza dal linguaggio ordinario, la sua reinvenzione ritmico-sonora che si mangia il contenuto del reportage, assicurandogli un utile straniamento e un effetto-sorpresa che altrimenti non avrebbe. Gli salva il corpo, potremmo dire, lo salva dalla retorica vittimistica e dalla assuefazione morale. Gli conferisce un “ultracorpo” di espressione non codificata, elaborata con la marcia in più del polisenso. Poiché di corpo, di materia si tratta (altro punto di continuità con l’artisticità performativa) fino ai livelli del disgustoso e del reietto, del rimosso e del represso. «I rifiuti sono corpi nostri», scrive Fontana. Una materia in trasformazione, in putrefazione, in metamorfosi anche perverse. Il che non significa poi, anzi al contrario, che non assuma sovrasenso, e precisamente un senso allegorico davvero rilevante, riguardante il destino delle persone (perché i “rifiuti urbani” subito si coniugano in “rifiuti umani”: gli esuberi, i rifugiati, i migranti) e quello della letteratura in particolare, ridotta non per nulla al trash, da un lato, mentre dall’altro lato la scrittura sperimentale non può che vedersi come un residuo gettato via. È un «poema del rifiuto»: utilizzando anche qui l’ambiguità del termine, per mettere in evidenza il lato polemico-politico, l’impulso da contestazione “indignata”. È il rifiuto come restituzione al mittente: «Inappellabile rifiuto della società. Dell’inciviltà. Della fine del mondo. Inaccettabile. Un mondo immondo. Un mondo dell’immondo». L’accumulo degli scarti induce uno scenario distopico, confermato anche dalla sezione visiva, nell’impatto tra gli squarci catastrofici e gli spot imbonitori. Di contro allo scenario apocalittico («questa è l’immagine del pianeta. Domani. Avvolto in un’enorme coperta di rifiuti») la necessità di demistificare i rosei paraventi postmoderni. Società liquida? Sì, ribatte Fontana, ma di liquami! 
L’ambiguità letteraria si scontra con la confusione tipica dell’ideologia attuale dove le parole-chiave sono svuotate di senso ad esempio libertà («Ridotta a licenza»). Ma anche la contraddittorietà del desiderio: 

"Ecco il timore di essere scartati che trasuda dall'esperienza del ritmo vorticoso del cambiamento. Ecco che in¬duce a ulteriori desideri. In avidità esponenziale. E il cambiamento si fa desiderio. E il desiderio cam¬biamento. Cambiamento di desiderio. Desiderio del cambiamento. Desiderio del desiderio. Desiderio del desiderio di cambiamento. E cambiamento del cam¬biamento di desiderio del cambiamento di desiderio. Che cambia chi desidera. Che desidera chi cambia e cambia e cambia chi desidera cambiando in un cam¬bio di desideri mai desiderati e già cambiati prima che fossero desiderati in cambio di un desiderio asfit¬tico. Avvelenato".

Infatti l’accattivante rassicurazione, nello stesso tempo, produce fantasmi, «l’economia della paura». Così come il corpo che consuma si rovescia nel consumo del corpo, in «circolo vizioso».
Finalmente una scrittura in cui forma e contenuto lavorano di conserva. Una ottima prova, insomma, di una prosa creativa e insubordinata che mostra tutta la vitalità che la linea sperimentale, pur in mezzo all’insensibilità del cosiddetto pubblico, è ancora capace di sprigionare.
FRANCESCO MUZZIOLI 2013

 

La poésie est une pensée.
Une poésie qui ne pense pas cesse d’être ce qu’elle prétend pour se réfugier dans la gymnastique verbale des prouesses de la virtuosité.
Giovanni Fontana, un des poètes parmi les plus importants de la poésie sonore mondiale, nous livre ici le processus d’écriture de la création d’un poème. À une époque où la poésie ne devrait plus penser, ou qui jongle avec la variété dans ses larmes néoromantiques, le poète, chef d’orchestre d’effets des allitérations et des musiques du rythme, questionne l’humanité sur sa chute.
Poète sonore, Giovanni Fontana est certes un des poètes de la langue italienne subvertie mais aussi un passeur de sens.
Écumant le monde, sa poésie est une dialectique entre lenteur et vitesse, guerre et paix, harmonie et disharmonie.
Artiste plasticien, architecte de la voix, il est un des briseurs les plus fondamentaux des frontières de l’art. Cette barrière-barricade fragile, entre la vie et le langage qui nous constitue, est celle du poème qui habite le monde et ce monde en retour qui l’habite. Voyageur, Giovanni Fontana l’est dans tous les espaces de la littérature qu’il habite, que cela soit ceux de la poésie, de la philosophie ou de la sociologie.
Grand dévorateur de sons et d’opéras illégitimes, fou et graphiste, auteur de silences criés, rythmeur, il est aussi un penseur de notre société et du poème.
Giovanni Fontana dans Déchets commet un détournement. La poésie reste un déplacement des images, un mouvement interne de la pensée dévoilant son propre rythme. Ce livre, rédigé directement en Français, basé sur l’idée de son livre italien « Questioni di scarti », La question des déchets, est une nouvelle création poétique mais en même temps, une réflexion théorique autour de notre civilisation. Du texte italien, Giovanni Fontana en a gardé les idées et les images, puis il l’a retravaillé comme une pulsion vocale, un chant terrible annonçant les apocalypses préparées par notre société. Du texte original, il ne reste rien. Si ce n’est que des photographies orales et des métaphores. Le texte français est ainsi organisé graphiquement comme un poème ou un manifeste qui dialogue avec lui-même et avec le monde. C’est lui qui l’a voulu ainsi, révélant une nouvelle spirale de sa poésie.
La poésie pense toujours le déchet, la perte, le deuil, la mort, le dégât, l’altération et la différence.
Mais c’est au nom du poème et avec lui que Giovanni Fontana interroge notre monde. Tout comme Mallarmé qui écrivit son Coup de dés en créant un vers épousant exactement le lancer des dés sur un comptoir, Giovanni Fontana écrit son poème comme le résultat hétéroclite de l’ouverture d’une poubelle. Emballages, nourritures, chiffons, préservatifs sont ici exposés dans la pensée. Les restes d’une société pour écrire justement le reste de la langue irréductible qui fait le poème.
L’oralité apparente du texte, avec ses différences de polices, de graisses et de caractères est certes celle d’une vocalité marquant les accents et les musiques comme pour une partition, mais aussi l’anarchie organisée des poubelles, comme un cut-up de déchets réfléchissant sur lui-même ses miroirs brisés. Le poète lui-même devenant poubelle de la réflexion du déchet.
Tout poème est ainsi une poubelle organisée de l’état de bienséance d’une langue.
Oui, la poésie est un déchet et un reste fondamental qui affronte le déchet et le reste de notre société. Ici, le poète nous livre un combat de restes [...].
SERGE PEY 2014

 

L’immaginazione dell’uomo moderno è assoluta nello sconfinare i limiti del proprio essere e la forza creatrice della mente umana è capace, non solo di creare il mondo, ma di ri-crearlo, appagando le esigenze emotive e psicologiche delle coscienze collettive, spesso ignare di vivere e condividere la medesima ansia espressiva. Nel momento in cui gli intellettuali hanno avvertito lo stato di crisi della cultura novecentesca si è reso necessario attuare un rinnovamento, operando concretamente una vera e propria controproposta poetica, letteraria, artistica e, di conseguenza, culturale. L’incondizionata tensione naturale dell’uomo a trovare nel pensiero divergente lo strumento di comunicazione ed espressione per eccellenza, ha portato gli artisti a porsi oltre la modernità alla ricerca di una via di fuga dal labirinto delle retoriche. Non a caso la prassi sperimentale rivela il desiderio di imporsi concretamente sull’evento artistico con l’obiettivo di ristabilire i rapporti tra il modo di concepire il mondo, la storia, la realtà e l’opera d’arte, adesso intesa come sintesi di ideologie che nell’atto creativo divengono riflessioni estetiche, azione creativa e segno verbale dalle tonalità linguistico-iconografiche. Si tratta della consapevolezza dell’artista di vivere in una dimensione culturale diversa, che esige l’affermazione di una nuova libertà poetica, aperta a soluzioni formali nuove e capaci di rinnovare il linguaggio estetico nella sua totalità di essere insieme espressione concettuale e rappresentazione comunicativa. In tale dimensione si inserisce perfettamente la prassi poetica e teorica di Giovanni Fontana, la cui opera è tesa a mettere in luce il bisogno sempre attuale di una connessione intermediale fra la parola poetica e le arti figurative, poiché la commistione dei codici espressivi è una delle poche modalità attuali in grado di analizzare le pretestualità e unire ai principi della Poesia Totale la gestualità e la corporeità del personaggio estetico che mette in scena se stesso e la propria forza comunicativa. L’opera d’arte, la performance e l’atto estetico ampliano la portata del messaggio dell’artista che, attraverso l’ironia e la materia sonora, rivela la parola percepita finalmente al grado zero della sua esistenza: un esercizio pluri-artistico e pluri-linguistico, che trasfigura la poesia in arte totale, in un’operazione di fusione delle arti, in cui la ricerca di nuovi espedienti formali comunicativi approda a una dimensione “ultra-verbale” originale e inedita.
LAURA MONALDI 2015
 

Per "Déchets"
Il magma indifferenziato dei rifiuti è sintomo di una società oggettualizzata che mostra come il possesso sia poi nell’essere posseduto, e nell’indistinto dell’accumulo, compulsivo, frenetico, mastica la presenza costante dello spaesamento e dello spossessamento di sé. La caducità del senso, la perdita di punti di riferimento, la frammentazione eccessiva, parcellizzata, della società deragliano le possibilità poetiche aprendo il linguaggio alla concessione linguistica della morte.
L’opposizione vita-linguaggio percorre il lavoro di Fontana come esplicazione ulteriore del suo percorso epigenetico, ovvero di una poesia improntata al processo, all’azione. Gli scarti, come materiale residuo dell’esistenza e manifestazione della tendenza all’inorganico di freudiana memoria, sono al contempo un coacervo di impulsi vitali e oggetti che si affacciano alle direttrici percettive dell’autore. Da un lato una poetica del processo, improntata sulla parola che si nega all’atrofizzazione di un linguaggio comune, infiocchettato, e si dà nella dilatazione del lettering, nella spazializzazione del corpo, rimandando al movimento percettivoattivo dell’autore, dall’altro la stratificazione dei rifiuti vi si oppone come tendenza all’inorganico e costante presenza della morte. Se la poetica di Fontana guarda al processo e privilegia la parola è sulle direttrici lacaniane che rafforza questo costrutto. Se il processo è sintomo vitale, allora l’opera non può che guardare ad un lavoro che valorizzi ed esalti la parola al di là di strutturazioni sintattiche che contribuiscono ad ingessare le potenzialità visivo-spaziali, dunque attive, del corpo della parola. La parola come processo, enunciazione, flessione del respiro autorale guarda ad una dimensione organica, vitale che si oppone alle immagini di Déchets, dunque alle immagini dei rifiuti, in quanto emblematiche della canonizzazione del linguaggio umano, sociale, che connota l’attuale epoca storica per un surplus di dispersione e disperazione. Gli oggetti che entrano direttamente nella poetica sono oggetti del mondo e figli diretti dell’azione umana, ma allo stesso tempo sono il capovolgimento del possedere nell’essere posseduti. In un momento storico caratterizzato dalla caduta di punti di riferimento, dalla rapida mutevolezza delle situazioni socio-economiche, dall’atomizzazione dell’attore sociale, la povertà, oltre alla durata atemporale dell’irrazionale religioso, rappresenta l’unica dimensione solidificata, stabile (Bauman), – nonché baratro, paura alla quale ci si oppone nel possesso-ostentazione – e l’esaltazione iconica del messaggio pubblicitario, e del suo oggetto, spostano il raggio d’azione da una fidelizzazione del cliente verso una “fedelizzazione” nei confronti dell’oggetto e/o dell’aura immaginifico-simbolica che all’oggetto conferisce il costrutto mediatico. Fontana, poeta e pensatore, come riferisce Pey in introduzione al testo, realizza un’opera di riflessione sull’attualità del mondo e dell’azione umana nel mondo. Una invettiva sociale che affronta quelle dinamiche che ci portano oggi quasi a rapportarci con i resti della società (Pey, p. 08). Inoltre, nota ancora Pey come questo non sia un tempo per i poeti che appaiono rifiutati da una società che dimostra di non avere tempo per la poesia; questo rifiuto, secondo il poeta francese, porta l’opera di Fontana sul piano di una oralità rintracciabile nella manipolazione grafica del testo come corrispettivo delle diverse marcature vocali. I rifiuti, che assumono la dimensione di segno, portano il lettore davanti al fatto compiuto e del quale dovrà avere, da oggi in poi, consapevolezza: nous sommes la civilization du déchet, tuona Pey a pagina 10 della sua introduzione. Fontana propone una poetica puntuale, feroce nella sua precisione e nel disarmante ingresso del dato oggettivo del quale avviene il trapasso, il traforo, lo sconfinamento dall’oggetto all’oggettualità della morte, come tensione, processo.
FRANCESCO APRILE 2015